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Quel fenomeno di Matteo Salvini

Matteo Salvini everywhere. In tv, sui giornali, fra una diretta facebook e una storia instagram, un tweet e un selfie in piazza, il vicepremier leghista è onnipresente e di questa onnipresenza ha fatto l’ingrediente portante del suo successo politico. Non possiede emittenti, e dice di aver contro gran parte del circuito mediatico, compresa la Rai che pure qualcuno oggi comincia a chiamare “sovranista”. Come si spiega allora questo successo? Chi ne è il principale artefice? Matteo Salvini fa, oppure è Matteo Salvini? Un libro fresco di pubblicazione risponde a queste e molte altre domande. “Fenomeno Salvini. Chi è, come comunica, perché lo votano” (Castelvecchi), di Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco, co-fondatori di Quorum e Youtrend, astri nascenti fra i sondaggisti italiani, ormai presenza fissa della maratona Mentana su La7.

Presentato alla Treccani a Roma questo mercoledì assieme a Eva Giovannini, Lucia Annunziata e Mario Sechi, il pamphlet è un viaggio alla scoperta degli ingranaggi, segreti e non, che muovono la macchina mediatica del “Capitano” e hanno segnato quel rebranding politico che ha trasformato un partito nordista con il 4% in un movimento nazionale che viaggia nei sondaggi ben oltre quota 30%. In fondo, tre interviste a chi ha seguito dagli albori il fenomeno Salvini. Il direttore de L’Espresso Marco Damilano, Matthew Goodwin, tra i massimi esperti di populismo al mondo. E Luca Morisi, il silenzioso responsabile della comunicazione del segretario leghista, l’uomo che da dietro le quinte, nella più assoluta discrezione (quasi mai parla in pubblico), si premura che il fenomeno Salvini funzioni h24. Una sua chiosa spiega il perché del successo: “lo spin-doctor di Salvini è Salvini stesso”. “La Bestia” di cui tutti parlano esiste: è un software che il suo team usa per gestire l’enorme flusso di interazioni con i canali ufficiali del “Capitano”. I contenuti, però, sono tutta farina del suo sacco, assicura Morisi.

Gli dà ragione Lucia Annunziata alla Treccani. “Un leader è un leader e la comunicazione può solo esprimere una leadership che già esiste”. Il fenomeno Salvini è nuovo, dice la direttrice dell’Huffington Post, ma Salvini no. Milita nel Carroccio da vent’anni, ed è stato parte attiva di una storia politica che ora vuole lasciarsi alle spalle. Questo, in fondo, è un elemento non secondario del suo successo. “Salvini ha una cosa fondamentale per la leadership che il Movimento Cinque Stelle non ha. Alle spalle ha un partito che esiste dal 1994, i governatori del Nord, gli amministratori del Lombardo-Veneto”. Insomma, “Salvini non è un uomo nuovo, sa interpretare i nuovi tempi e capire i bisogni della nuova Italia”.

Dalle ampolle del Po alle berrette sarde, dalla polenta agli arancini, dal secessionismo al lepenismo, l’operazione di rebranding della Lega messa in moto da Matteo Salvini è “la più radicale della politica italiana”, dice Diamanti. Ma è davvero lui l’unico responsabile? E se Salvini, prima ancora che leader, fosse il follower numero uno dell’elettorato italiano? Con una provocazione Sechi centra il nodo della questione. “Il rebranding a tavolino non esiste – dice il titolare di List – esiste solo quello dell’elettorato italiano”. Uno smartphone, Facebook e un giovane padano dotato di indiscusso fiuto politico hanno avverato la profezia di Marshall McLuhan: il mezzo è diventato il messaggio. Per dirla con Sechi, “i nostri soggetti al potere non sono influencer ma follower, non statisti ma capi guidati dall’umore dell’elettorato”. Il libro è pieno di aneddoti che lo dimostrano. Uno è raccontato da Morisi. “Durante il livetweeting di una trasmissione su questo tema, su Rete4, l’engagement dei tweet sulla legittima difesa era altissimo. E infatti, il giorno dopo, il post Facebook di Salvini era proprio su quello, e ha fatto quasi 100 mila like”.

Il modus operandi è semplice: l’elettorato (o il web) parla, il politico fiuta e incassa. Un meccanismo che funziona bene per la strategia social del leader, ma ha i suoi rischi quando si trasforma in agenda-setting. Gli inseguimenti, prima o poi, hanno una fine. E il web abbandona con facilità i suoi idoli. La montagna russa di Matteo Renzi rimane come memento. “L’uscita di Renzi è stata improvvisa e traumatica – chiude l’Annunziata – Salvini ha già raggiunto un tetto. Basta vedere i programmi tv, prima faceva il 13% e ora il 6%, non fa più drizzare l’audience”. Anche quel “fenomeno” di Salvini ha i suoi limiti…

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