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Governo e Parlamento parlino di Sanità e libertà prescrittiva. Parla la senatrice Binetti

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“Da quando è iniziata la legislatura non ho mai ricevuto riscontro da alcun ministro, viceministro o sottosegretario e non solo del ministero della Salute, ma anche della Giustizia, dell’Istruzione e dell’Agricoltura. Trovo che questo governo sia particolarmente cieco, sordo e muto davanti alle istanze che vengono dal Parlamento. È come se il Parlamento, per il governo, non costituisse un interlocutore autorevole”. Sono le parole della senatrice Paola Binetti, intervistata da Formiche.net sulle strategie per efficientare il Sistema sanitario nazionale. Secondo la senatrice, è di fondamentale importanza una maggiore comunicazione fra esecutivo e legislativo su questi temi, che porterebbero poi a benefici non solo per la salute dei cittadini, ma della stessa economia del Paese.

Quanto realmente un medico è libero di prescrivere, in scienza e coscienza, farmaci ed esami diagnostici, senza ingerenze esterne?

Un medico è tanto libero quanto vuole esserlo e, in un certo senso, quanto la sua competenza glielo permette. Sono le due variabili in cui si muove – e si deve muovere – un medico: scienza e coscienza. Nel corso della mia lunga esperienza da medico, difficilmente mi è capitato di incontrare qualcuno che mi abbia imposto cosa prescrivere. Non voglio, però, sottrarmi all’interrogativo sotteso alla domanda. Sta nella competenza del medico attingere al budget disponibile con responsabilità, ma sempre perseguendo come fine ultimo l’esclusivo interesse del malato.

C’è un possibile equilibrio fra libertà prescrittiva del medico ed esigenze finanziare del Sistema sanitario nazionale?

L’equilibrio deve esserci. La forza del nostro Sistema sanitario nazionale sta proprio nella sua gratuità e universalità. Oggi come oggi sono disponibili farmaci innovativi, di ultima generazione, i cui costi sono inimmaginabili per un paziente, che non ha idea, ad esempio, del costo degli anticorpi monoclonali o dei più recenti prodotti per la lotta contro il cancro o, ancora, dei farmaci innovativi per le malattie rare. Mettersi a cercare questo equilibrio richiede la sensibilità di tutti. Definire il prezzo di un farmaco non è affatto semplice, ma nel farlo occorre non solo tener conto dei costi dell’attività di ricerca, ma anche del prezzo della non qualità, ovvero, il costo che dovremmo pagare qualora quel farmaco non venisse somministrato. A quali difficoltà esporrei il paziente? A quali condizioni di rischio lo proietterei? Quali conseguenze avrebbe sia sulla sua salute sia, a posteriori, sul Sistema sanitario nazionale?

Mi faccia un esempio…

Basti pensare alla fibrosi cistica; il non somministrare determinati farmaci significa esporre i paziente al rischio del trapianti, con tutti i rischi e i costi, anche economici, che quest’ultimo porta con sé. Al medico si chiede sempre, a parità di efficacia, di somministrare il farmaco dal costo minore perché rende disponibili altre risorse per altri pazienti. Ma non si tratta di un algoritmo certo e matematico, per cui questa valutazione richiede un’analisi specifica caso per caso. Ma spetta al medico fare questa valutazione.

Lei ha presentato una mozione chiedendo al governo di ribadire la libertà prescrittiva del medico, impedire condizionamenti indebiti ad opera di soggetti non medici e di garantire la continuità terapeutica per i pazienti già in trattamento. Non è la prima volta, però, che viene presentato un testo che va in questa direzione…

Da quando è iniziata la legislatura non ho mai ricevuto riscontro da alcun ministro, viceministro o sottosegretario e non solo del ministero della Salute, ma anche della Giustizia, dell’Istruzione e dell’Agricoltura. Trovo che questo governo sia particolarmente cieco, sordo e muto davanti alle istanze che vengono dal Parlamento. È come se il Parlamento, per il governo, non costituisse un interlocutore autorevole. Sono alla mia quarta legislatura, sempre all’opposizione, e non mi è mai capitato che in un intero anno nessun ministro rispondesse alle mie domande. Devo purtroppo riconoscere una certa sciatteria del governo giallo-verde nei confronti dell’attività parlamentare.

E per quanto riguarda invece la volontà di procedere verso nuovi tagli?

C’è nell’aria l’idea che si debba tagliare ove possibile, anche imponendo ai medici di somministrare farmaci che costano meno. Io credo che la logica economia sia importante, ritengo anzi che nei corsi di studio dei giovani medici vadano notevolmente aumentate le ore di formazione dedicate alla farmaco-economia, ma ribadisco: sin da tempi di Ippocrate, in scienza e coscienza, la libertà del medico è fondamentale per il rispetto del paziente e del mestiere.

Parliamo a questo punto di trasparenza e di informazione al paziente. Sappiamo che c’è in Italia c’è una forte carenza in tal senso. Dove viene a mancare la corretta comunicazione?

Intanto dobbiamo dire, con un po’ di ironia, che i pazienti fanno ormai il primo consulto con il dottor Google; ricercano informazioni trovandone anche in abbondanza, ma spesso senza garanzia o rigore scientifico. D’altra parte, però, è anche vero che il medico è costantemente pressato: deve infatti raggiungere un certo numero di visite in un determinato tempo, oltre ad essere compresso da modelli organizzativi e moleste burocratiche assolutamente controproducenti. Ma è nella qualità del tempo fra paziente e medico che si gioca questa partita, dove risulta fondamentale che quest’ultimo riesca a immedesimarsi nel paziente: una cosa è conoscere tutti gli elementi di un processo, un’altra cosa è soffrirli sulla propria pelle. Si dovrebbe recuperare un concetto antico secondo cui l’educazione del paziente è parte integrante della cura.

Lei ha sostenuto che i biosimilari non debbono diventare una giustificazione per i tagli nel settore sanitario. Ma se riducono gli oneri finanziari a carico del Ssn, perché non dovremmo imporne l’utilizzo?

La risposta è molto semplice. Come lei ben sa, biosimilare e originator sono simili, ma non uguali. Per questa ragione è necessario che il medico valuti caso per caso quale farmaco prescrivere. Ovviamente, nel caso in cui entrambi siano preferibili, il sanitario opterà per il meno costoso. Ma sta al medico decidere e a nessun altro.

Sul territorio nazionale si registrano ancora notevoli disparità tra le Regioni per accesso alle cure e ai farmaci. Non crede che questo stia violando alcuni dei nostri principi costituzionali, fra cui quello di uguaglianza?

Ci credo cosi tanto che pochi giorni fa ho presentato l’ennesima interrogazione sostenuta dai pazienti affetti da fibrosi cistica, per i quali il creon rappresenta un farmaco fondamentale. Secondo una circolare si impediva alle regioni in regime di rientro di somministrare il creon poiché considerato troppo costoso. Io ritengo e sostengo che con i farmaci salvavita questo non possa accadere.

Ha ottenuto qualche risultato?

Anche in questo caso nessuna risposta, ma devo riconoscere che il Dottor Urbani, direttore generale della programmazione del ministero della Salute (non so se proprio per via della mia interrogazione o meno) ha scritto qualche giorno fa alla presidente dell’Associazione per la fibrosi cistica, dando il via libera alla prescrizione del creon anche nelle regioni in regime di rientro. La considero una grande vittoria perché quando un amministratore si rende conto di star attuando una discriminazione, è suo dovere intervenire nel rispetto dei cittadini e della propria onestà intellettuale.

Quali sono le sfide che deve affrontare il nostro sistema sanitario?

Io credo che la più grande sfida sia legata agli investimenti nella ricerca. Bisogna capire quanto sia importante poiché ogni risultato raggiunto ha ricadute positive non solo sulla salute dei malati, ma anche in termini economici. Mi piace pensare che il sogno di ogni studente di medicina sia quella di trovare il farmaco che cambia la vita a migliaia di pazienti. Mi addoloro, invece, quando mi sembra che l’obiettivo esclusivo sia quello di trasformare i medici, che dovrebbero perseguire la difesa della vita, in somministratori di morte.



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