La valutazione costi benefici della Tav, commissionata dal ministero dei Trasporti, si fonda su opinabili calcoli economici, non tiene conto del contesto continentale della rete in cui l’opera si inserisce, sottovaluta la compartecipazione europea agli oneri, trascura la pluralità di benefici non economici della realizzazione. Può essere quindi tecnicamente ribaltata, pervenendo a un risultato di prevalenza dei benefici globali rispetto ai costi. Ma la Tav non è solo un problema di spesa pubblica. La Tav è un simbolo, un’occasione per affermare un modello culturale ed economico. E le ragioni dello scontro politico vanno ben oltre la mera valutazione del rapporto tra costi e benefici. I 5 Stelle sono contrari alla Tav perché mette in gioco la loro identità e il consenso di una parte rilevante del loro elettorato. La Lega non ha alternative di governo praticabili e accetta un compromesso al rinvio pur di non rompere la coalizione gialloverde, confidando di risolvere il problema dopo il passaggio elettorale europeo. È politica di corto respiro, niente di più. Ma dietro i rinvii tattici c’è una questione di fondo: il modello culturale ed economico dei 5 Stelle e la sua compatibilità con lo sviluppo del Paese.
La concezione del Movimento Cinque Stelle avversa il capitalismo globalizzato, l’integrazione economica internazionale, la crescita costante. Al fondo esprime paura e rabbia per un sistema economico che, negli ultimi decenni, ha promesso molto ma ha mantenuto poco, ha prodotto occupazione insufficiente e spesso precaria, ha acuito il divario sociale, ha trascurato la tutela ambientale, ha dato spunto al malaffare. La risposta semplificata è la politica del “contro”, che blocca i lavori, si chiude nei confini nazionali, aumenta la spesa sociale e l’intervento pubblico nell’economia, penalizza le imprese; alla ricerca di un mondo e di un tempo perduti, dove ritrovare purezza, solidarietà e benessere, magari più poveri ma più felici.
Ma la decrescita felice e autarchica è una pericolosa illusione, dalla quale ci si può risvegliare quando è troppo tardi. Senza crescita non c’è aumento della ricchezza e la politica si riduce alla gestione del conflitto redistributivo, sempre più aspro. Senza crescita non ci sono fondi per gli investimenti nelle energie pulite. Senza integrazione internazionale non c’è sviluppo dei commerci e dei mercati, con negative ricadute sull’economia e sull’occupazione. Senza una buona dose di liberalismo si rinnovano gli sprechi e le inefficienze dello Stato imprenditore, incrementando i casi di corruzione. La prospettiva non è un mondo migliore ma un Paese più povero, più conflittuale, più arrabbiato.
Ci vorrà tempo prima che i 5 Stelle cambino identità, riuscendo a elaborare un pensiero politico adeguato al mondo in cui viviamo, proteso a produrre il bene pubblico e non solo il consenso elettorale. E forse il Movimento dovrà passare per una scissione, che faccia emergere le diversità profonde sui temi sociali ed economici, ricomponendole nello schema del maggioritario. Ma l’Italia non può aspettare l’evoluzione del pensiero grillino e si deve confrontare da subito con i vincoli di bilancio, la produttività delle imprese, i problemi di occupazione, l’imminente recessione, la riorganizzazione dello Stato sociale. Come confermato dall’allarme lanciato dall’Unione europea, dalle agenzie di rating, dal Fmi, dalla Bce, dall’Ocse, dalla Banca d’Italia, che hanno invitato ad assumere immediate iniziative per contrastare la deriva recessiva.
Pragmatismo ed esperienza dicono che non si può fare molto fino alle elezioni europee, con i partiti stretti nella logica della competizione per il voto. Ma il giorno dopo la nascita del nuovo Parlamento europeo, alla vigilia della manovra economica 2019, in una situazione di stagnazione o recessione, con un deficit oltre le attese, sarà necessaria un’azione di governo fondata su una prospettiva politica a medio lungo termine, un programma coerente, un’attenzione maggiore alla crescita e al sostegno alle imprese. Quanti hanno consapevolezza di tale situazione sono chiamati fin d’ora a lavorare per un’alternativa di governo, nel quadro dell’attuale Parlamento o di elezioni anticipate.