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La Tav e il provincialismo italiano, perché Torino-Lione non è una partita di calcio

infrastrutture

Con la Tav Milano e Torino diventano il centro dell’Europa, che si trasforma in una grande metropoli per collegare entro un decennio in 4 ore e mezzo Londra e le città italiane del Nord, o se preferite il Nord e il Sud dell’Europa. Solo investendo sulle infrastrutture l’Europa può sperare di fare concorrenza alle grandi megalopoli del mondo.

Parag Khanna, in Connectography, spiega in modo puntuale quale sarà l’evoluzione delle Città-Stato nei prossimi decenni, con una contrapposizione che sempre di più sarà costruita intorno alla capacità delle megalopoli di aggregare persone (e quindi talenti), e acquisire investimenti privati in cambio di una pubblica amministrazione efficiente e snella. L’Europa non può avere megalopoli, ma può certamente accorciare le distanze (anche culturali) tra le sue capitali e tra le città di una stessa nazione, come accade da un decennio tra Milano e Torino (MiTo) e si è ripetuto di recente con la presentazione del progetto olimpionico di Milano e Cortina, al quale colpevolmente Torino (che deve essere considerata un unico grande agglomerato di ricerca, sviluppo, innovazione e produzione con Milano, Genova, Bologna e il Nord-Est), non ha voluto aderire.

Questo è il senso e il contributo delle infrastrutture fisiche alla costruzione dell’Europa e della stessa Italia (chi non riconosce lo straordinario valore dell’intuizione di Lorenzo Necci con l’Alta Velocità che ha unito il Nord e una parte del Sud e o è in mala fede o è fuori contesto), così come i programmi Erasmus lo sono stati per connettere le infrastrutture culturali e umane del Vecchio Continente. Un unico grande Continente-Stato, quindi, magari a fiscalità agevolata per attrarre nuovi investimenti, sull’esempio della Polonia che ha chiesto alla Ue di trasformare le sue 14 Zone Economiche Speciali (un unicum europeo) in Paese interamente a fiscalità agevolata.

Per competere nel sistema globale e promuovere crescita e sviluppo, occorre investire sulle infrastrutture fisiche e digitali. Non a caso il primo Paper che l’Osservatorio sulle Infrastrutture di Confassociazioni ha presentato al Cnel nel marzo del 2018 è stato dedicato alle infrastrutture digitali e al tema delle Smart Valley, che non sembra essere ancora al centro del dibattito italiano. In altre realtà europee ed internazionali, invece, è già oggetto di riflessione, analisi e sperimentazione. C’è bisogno pertanto di stimolare un percorso strutturato che avvii anche in Italia la costituzione di un ecosistema positivo e dinamico di relazioni ed interconnessioni.

Le problematiche legate al cambiamento tecnologico stanno impattando gli assetti sociali, demografici, economici ed istituzionali a livello globale. Per questi motivi anche in Italia il concetto di Smart Valley, che supera la logica territoriale dei Distretti industriali e delle Smart Cities, ci è sembrata risultare la soluzione più adeguata per rispondere a queste sfide, poiché rappresenta il giusto equilibrio tra una pianificazione urbanistica intelligente, che utilizzi in maniera sostenibile le risorse naturali, e la valorizzazione del capitale umano di chi vive ed opera nelle nuove comunità digitali, che sono sempre più ampie ed articolate.

Chi tra gli esponenti di governo fa affermazioni semplicistiche contro la Tav e contro le infrastrutture, vuole ridurre ancora una volta una questione strategica ad una competizione Torino-Lione quasi fosse una partita di calcio, ed offende le centinaia migliaia di tecnici, ingegneri, progettisti ed operai che hanno contribuito con il loro ingegno e il loro impegno allo sviluppo e al progresso del nostro Paese, e alla costruzione della reputazione dell’Italia nel mondo.

La globalizzazione non è paziente e l’Italia e l’Europa non possono permettersi di perdere competitività rinunciando alle infrastrutture. Per raggiungere questo traguardo, come abbiamo scritto nel nostro studio I-Volution, Italia che Innova (ottobre 2018), l’Italia deve investire 3 punti di Pil ogni anno fino al 2030. Un’azione che garantirà una crescita aggiuntiva all’Italia che può valere fino a 8/10 punti di PIL all’anno. La sfida che attende l’Italia, però, è soprattutto culturale, come dimostra il dibattitto surreale di questi anni, acuito nelle ultime settimane dal caso Tav. Occorre, infatti, modificare la percezione delle infrastrutture, perché quando si fanno ecosistema, non solo costituiscono un progetto economico fondato sul mercato, ma si trasformano in un progetto sociale, che dà forma e sostanza all’intero ecosistema.

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