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Così l’oro di Maduro mette nei guai Erdogan

La Turchia, tanto per cambiare, è nell’occhio del ciclone e tanto per cambiare a sorvegliarla da vicino è Washington. Stando a quanto ha riportato Bbc, citando fonti diplomatiche occidentali, la Mezzaluna starebbe ricevendo forti pressioni per non commerciare più in oro con il Venezuela. L’accusa è pesante. Ankara comprerebbe oro da Caracas per farlo finire in Iran, in piena violazione delle sanzioni imposte alla Repubblica Islamica.

A destare ancora più sospetti, è la difesa del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan nei confronti della contro parte venezuelana, Nicolas Maduro, messo sempre più alle strette dall’auto proclamato presidente ad interim, Juan Guaido.

Qualche dato per farsi venire il dubbio, in effetti, c’è. Nel corso del 2018, il Venezuela ha esportato oro in Turchia per un valore di 900 milioni di dollari. Un dato aumentato del 20% rispetto al 2017. Segno che Ankara qualche vantaggio nel commerciare in oro ce l’ha. Non è la prima volta che la Mezzaluna, che detiene il secondo esercito della Nato, viene colto con le mani nella marmellata per aver fatto la furba.

Nel 2016, quattro banche turche sono state accusate di detenere fondi utilizzati per un sistema di riciclaggio, andato avanti circa 5 anni e che ha permesso all’Iran di compiere investimenti e acquisti in molti settori commerciali che altrimenti sarebbero stati off limits a causa sanzioni.

L’accusa ha provocato non pochi scossoni nelle relazioni fra Ankara e Washington. Uno degli uomini chiave di questo meccanismo, infatti, si chiama Reza Zarrab, è un uomo d’affari turco-iraniano ed è molto vicino al presidente Erdogan e a molti personaggi chiave del suo partito, l’Akp, al governo nel Paese dal 2002.

Il capo di Stato ha negato ogni tipo di coinvolgimento del parlamento in un complotto contro di lui. Ma uno dei quattro istituti di credito coinvolti è Halk Bank, la maggiore banca pubblica del Paese, da tempo controllata dagli uomini del presidente.

Non solo. Lo scorso anno, quando gli Usa hanno annunciato il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano, in Turchia si è assistito a un boom di aziende iraniane che hanno aperto una sede nella Mezzaluna. Una scelta dettata non tanto dagli ottimi rapporti commerciali fra i due Paesi, ma dalla necessità di aggirare una nuova ondata di sanzioni, certi che la porta turca è sempre aperta.

Non solo Iran. Ankara è stata più volte accusata di fare da Paese di transito per tutte le merci europee, soggette a sanzioni, che la Russia non poteva più importare. Accusa, anche questa, sempre smentita da Ankara.


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