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Nessun accordo tra Turchia e Usa sul Nord della Siria. Il nodo curdo resta

turchia

La Turchia preme e torna a parlare di operazione nella Siria del Nord per liberare Manbij dalle milizie dei curdi siriani. Il ministro degli Esteri della Mezzaluna, Mevlut Cavusolu, in questi giorni si trova a Washington, dove ha incontrato il segretario di Stato, Mike Pompeo, in occasione di una riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi imegnati nella coalizione anti Isis. Ankara, però, ne ha approfittato per parlare anche di quella che per lei è la minaccia numero uno: i curdi.

“C’è un’innegabile accelerazione rispetto al passato – ha spiegato Cavusoglu ai giornalisti -. La richiesta di avviare una roadmap per il nord della Siria arriva dagli Stessi Stati Uniti”. Il ministro degli Esteri turco ha però sottolineato come questa roadmap abbia ancora bisogno di essere implementata, lasciando trapelare che il rallentamento è dovuto alle indecisioni di Washington.

Insomma, nonostante le buone intenzioni, il nodo è sempre lo stesso: cosa fare dei curdi. Gli Usa continuano a supportarli, perché li considerano un nemico naturale alla minaccia dello Stato Islamico nel Nord e nell’Est della Siria. I turchi li ritengono strettamente connessi con i curdi del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, e quindi una minaccia per la sicurezza nazionale. Una situazione dalla quale è difficilissimo uscire, anche perché la distinzione fra guerriglieri e civili regge solo fino a un certo punto. Il distretto di Rojava, controllato militarmente dallo Ypg, i curdi siriani, appunto, è abitato da migliaia di persone che condividono le politiche dei guerriglieri e sicuramente sono poco inclini a credere alle buone intenzioni dei turchi.

Per il momento la Turchia sembra avere ottenuto assicurazioni generiche che le armi americane nelle mani dei curdi verranno sequestrate e che da parte Usa c’è tutta la buona volontà perché si trovi una soluzione che soddisfi tutti. Per quanta accelerazione possa essere stata impressa e ce la si possa mettere tutta, trovare una soluzione condivisa non è semplice. C’è poi un altro aspetto: qualsiasi cosa decideranno di fare Turchia e Stati Uniti, dovrà ricevere l’assenso anche del Cremlino.

Per questo, alla domanda su una possibile zona di sicurezza, tanto auspicata dalla Turchia, Cavusoglu ha detto che ci si dovrà coordinare in tre, sottolineando però che Ankara sarà contraria a una “zona cuscinetto che salvaguardi i terroristi”.

E qui, di nuovo, è arrivata una stoccatina a Washington. La Turchia ha fatto appello perché venga fatto uno sforzo comune per permettere alle truppe Usa di lasciare il Paese ed eliminare i gruppi terroristici rimasti, parlando genericamente di Paesi impegnati a sovvenzionare gruppi terroristici e fare sfumare gli sforzi congiunti di Turchia e Russia per riportare la pace nella regione.

Il pressing, dunque, c’è, ma soluzione ancora no.


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