Skip to main content

Serve una democrazia inclusiva, il Pd riparta da questo. Parla Livia Turco

“Se sarò eletto segretario del Partito democratico in tutte le sedi di partito ci sarà un’iscrizione che ricorderà la seconda parte dell’articolo 3 della Costituzione. Perché se non si rimuovono anche gli ‘ostacoli di ordine economico e sociale’ che limitano l’uguaglianza si possono avere anche le leggi migliori del mondo ma ‘il pieno sviluppo della persona umana’ resta una chimera”. In queste poche parole si può sintetizzare il programma politico che Nicola Zingaretti ha ribadito, ancora una volta, dal palco di “A sinistra, la Piazza Grande” ennesimo evento della sua corsa alla segreteria del Partito democratico.

Il presidente della Regione Lazio ha arringato la platea dello Spazio Eventi parlando la lingua della vecchia scuola politica che non ha paura di definirsi autenticamente di sinistra. Quella sinistra che il vento del renzismo, con le sue declinazioni neoliberali, ha provato a “rottamare” ma, evidentemente, senza successo perché, sondaggi alla mano, Zingaretti ad oggi è il candidato più vicino all’ufficio della segreteria.

Ad alternarsi sul palco di Zingaretti c’erano Cecile Kyenge, Giovanni Legnini, Giuliano Pisapia, Livia Turco, Marco Furfaro e Massimiliano Smeriglio. Goffredo Bettini, deus ex machina delle candidature di Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Ignazio Marino, ha inviato un contributo video, così come la scrittrice Dacia Maraini. L’urgenza, emersa dagli interventi di tutti, è che il prossimo segretario del Pd sia il segretario di tutti e non solo di una parte. Il recente passato renziano, con la sua spinta innovatrice e la sua retorica, a tratti violenta, è un’esperienza dalla quale il Pd di marca zingarettiana vuole prendere le distanze, per riconnettersi con l’anima profonda dell’elettorato di sinistra, prima ancora che progressista.

Di tutto questo Formiche.net ne ha parlato con Livia Turco, ex ministro della salute e della solidarietà sociale nei governi Prodi, protagonista di un intervento intenso nel quale la dialettica ha lasciato il posto alla commozione.

Perché ha deciso di sostenere la candidatura di Nicola Zingaretti?

Perché Nicola Zingaretti è un uomo autenticamente di sinistra, è una persona che ha interpretato nella sua esperienza politica quello che secondo me sono le due doti fondamentali della sinistra: la capacità inclusiva e lo sforzo di innovazione. L’ha fatto da amministratore ma l’ha fatto bene.

Cosa manca secondo lei al Pd che vediamo oggi?

Il Pd ha vissuto una stagione in cui il perno non è stata l’inclusione, il tenere insieme, il rendere protagonisti. Al contrario, c’è stata una politica di esclusione. Il cambiamento che propone Zingaretti mi pare significativo proprio rispetto al modo di concepire il partito, il modo di concepire la politica stessa, l’idea di ricostruire una politica popolare. Questo mi sembra uno sforzo che io condivido moltissimo. Certo non sarà facile e penso che ciascun pezzo della sinistra debba fare lo sforzo del dialogo e dell’inclusione però, certo, è il segnale che deve dare il Pd.

La stagione del renzismo con la retorica, a volte anche violenta, della rottamazione ha causato danni al Partito democratico?

Sì. Penso proprio di sì.

Quando lei parla di inclusione ed esclusione pensa alla politica interna al Partito o in quella esercitata nel Paese?

Parlo di entrambe. Io vorrei un Pd inclusivo come non lo è stato negli ultimi anni. Dopo di che credo che la politica fondamentale del Partito democratico e della sinistra debba essere la lotta alle diseguaglianze e la valorizzazione del capitale umano. Dentro la lotta alle diseguaglianze non c’è un dettaglio, c’è un’idea di sviluppo, la centralità del lavoro. Io credo che un partito come il PD debba avere l’inclusione come suo obiettivo da raggiungere attraverso politiche economiche, sociali e anche pratiche politiche. Non basta avere buone politiche ma è necessario avere pratiche politiche che includano le persone.

Ci spiega meglio cosa intende per pratiche politiche?

Le faccio un esempio. Si può avere una buona legge di contrasto alla povertà ma se non hai un rapporto vero con le persone c’è il rischio che quella legge non sia utilizzata da chi ne ha veramente bisogno. Questo è il punto. Per costruire politiche inclusive è necessario che ci sia una pratica di democrazia inclusiva. Per lo meno questa è la mia esperienza, io l’ho vissuto questo in un altro tempo.

Ha nostalgia di “quell’altro tempo”?

Io non voglio riproporre quell’altro tempo però so quanto è importante una politica popolare non solo per includere gli esclusi ma per rendere efficaci le politiche stesse. Perché le politiche non sono solo leggi ma è come sono agite, applicate a fare la differenza. Io sono testimone di leggi emanate e poi non utilizzate da chi ne aveva bisogno perché è mancato chi informasse circa l’esistenza di quel diritto. Per questo è necessaria una democrazia inclusiva che non è solo regole ma è pratica. Accanto a questo occorre reinventare una politica popolare.

Quando parla di politiche popolari pensa anche alla legge sull’immigrazione che porta il suo nome, la Turco-Napolitano? Se il Partito democratico dovesse tornare al governo crede che dovrebbe ripartire da lì per inaugurare una nuova stagione di gestione dei flussi migratori?

Assolutamente sì. Contrasto dell’immigrazione clandestina, rendere praticabile l’ingresso regolare per lavoro, accordi bilaterali, le politiche di integrazioni, il diritto di voto agli immigrati, questo fu quella legge. Da lì occorre ripartire.

Cos’è che l’ha fatta commuovere prima sul palco durante il suo intervento e la fa commuovere anche ora mentre stiamo parlando?

Mi commuovo perché sono profondamente convinta di quello che dico e ne sento molto la mancanza. Io ho avuto la fortuna di vedere che questo è possibile. Nella mia formazione politica, all’interno di un grande partito che è stato il Partito Comunista e all’interno dei movimenti per l’emancipazione femminile, abbiamo praticato questo: una politica popolare.

Crede che il Reddito di Cittadinanza potrebbe correre questo rischio? Non andare alle persone che ne hanno necessità?

Sì, intanto bisogna vedere com’è costruito e poi rischia di andare dove non dovrebbe andare. Ma questo era anche il problema di una misura ben fatta come il Reddito di Inclusione sociale. Anche lì non bastava avere dei buoni assistenti sociali ma bisognava avere un partito che orientasse i cittadini, li informasse, condividesse. Io credo in questa politica.



×

Iscriviti alla newsletter