All’inizio di questa settimana, il vicepremier italiano in quota grillini, Luigi Di Maio, era al Salone internazionale delle calzature promosso da Assocalzaturifici alla Fiera di Milano e ha detto: “Contro le famose sanzioni alla Russia ci battiamo e ci batteremo, non perché siamo filo-russi o filo-americani, ma perché siamo filo-italiani”. Secondo Di Maio, che è anche ministro per lo Sviluppo economico, “se ci sono imprese che stanno avendo enormi danni dalle sanzioni contro la Russia è giusto che si riveda lo strumento, non il principio”.
Il contesto da cui ha parlato il leader del Movimento 5 Stelle non è esattamente quello di realtà industriali e commerciali in sofferenza per il regime sanzionatorio contro la Russia innescato nel 2014 dopo le aggressioni di Mosca all’Ucraina. Né le sanzioni europee imposte alla Russia, né le contro-sanzioni russe in risposta, si applicano alla produzione calzaturiera. Inoltre, nel 2018, secondo i dati dell’ISTAT, l’aumento complessivo delle esportazioni di calzature italiane è del 3,9 per cento, e segue un aumento costante delle esportazioni di calzature dall’Italia verso i vari paesi del mondo iniziato dal 2013.
Nel 2017 l’export italiano totale nella Russia è cresciuto del 18,9 per cento. La crescita delle esportazioni di calzature era del 17 raggiungendo 383,7 mln di euro. Nel periodo gennaio-ottobre 2018 c’è stata invece un’inversione di tendenza: l’export italiano verso la Russia è diminuito del 4 per cento, mentre il calo delle forniture di calzature dall’Italia alla Russia è stato pari al 12,8. L’export di calzature nel periodo indicato è sceso a 296,3 mln di euro.
Però è bene specificare che il calo delle esportazioni verso Mosca, secondo le analisi degli economisti, è conseguenza della secca riduzione del potere d’acquisto dei cittadini russi in seguito alla dimunizione dei prezzi mondiali dell’energia, a cui il sistema-paese russo è strettamente vincolato, situazione che il presidente Vladimir Putin non è mai riuscito a diversificare.
Le dichiarazioni del premier italiano hanno riportato al centro del dibattito un argomento che da quando il governo gialloverde s’è insediato a Roma è diventato delicato: le sanzioni alla Russia, che l’Europa, in cooperazione con gli Stati Uniti, ha alzato quattro anni fa contro Mosca per via dell’annessione illegittima della Crimea ai danni dell’Ucraina e della sponsorizzazione al conflitto separatista nel Donbass.
L’elemento centrale per arrivare al sollevamento delle sanzioni sarebbe quanto meno l’implementazione pratica degli accordi di Minsk, un protocollo che Mosca e Kiev hanno firmato insieme alle due autoproclamate repubbliche indipendenti dell’est ucraino, sotto egida dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che fino a pochi mesi era presieduta dall’Italia, secondo il meccanismo di turnazione interno ai paesi membri Ue).
Quegli accordi non sono mai stati implementati dal 2014-2015, e anzi la situazione nell’est indipendentista ucraino è forse peggiorata, aggiungendo un confronto marittimo sul bacino del Mar d’Azov – da cui la Russia vuol tagliar fuori l’Ucraina – come elemento di complessità superiore. Per comprendere il clima: tre giorni fa, sul primo canale statale russo, gli esperti (tutti amici del Cremlino, visto il completo controllo del governo su certi media) sostenevano che uno scontro militare aperto tra i due paesi è ormai “inevitabile” e davano un input temporale: tutto avverrà poco dopo le elezioni presidenziali ucraine, che si svolgeranno il 31 marzo.
A creare contesto alle parole di Di Maio nel quadro del Mar d’Azov e delle ingerenze russe in Ucraina ci sono alcune informazioni ottenute dal Financial Times, secondo cui lunedì prossimo i ministri degli Esteri dell’Unione europea si riuniranno anche per decidere insieme un nuovo set di sanzioni con cui colpire Mosca per l’ultimo episodio avvenuto a cavallo dello Stretto di Kerč, l’istmo che chiude il Mar d’Azov. A fine novembre, tre imbarcazione ucraine erano state attaccate da Spetsnaz russi a insegne scoperte: 24 uomini di equipaggio sono stati catturati (e sono ancora in arresto in Crimea) e le navi sequestrate da un’azione militare che per la prima volta la Russia ha compiuto attraverso unità regolari. Un atto di guerra.
Francia e Germania, che compongono insieme a Russia e Ucraina il sistema di contatto che va sotto il nome di Formato Normandia, avevano cercato di convincere Mosca a rilasciare i militari russi, ma non hanno ottenuto nessun risultato (il quartetto è lo stesso che cerca, senza successo, di lavorare per trovare una quadra sugli accordi di Minsk). L’Ue, secondo il FT, potrebbe coordinarsi con gli Stati Uniti per rispondere tramite misure sanzionatorie a quanto successo a fine novembre – la vicenda era stata il motivo per cui Donald Trump aveva annullato il suo incontro con Putin a latere del G20 di Buenos Aires.
Le fonti del giornale inglese dicono che “le nuove sanzioni verranno appoggiate da tutti nella Ue, perché la Russia non ha mandato segnali di progresso in alcun fronte. Nessuno, neppure chi è contrario alle sanzioni, può mostrare alcun segnale positivo”. Delle nuove sanzioni ha parlato da Monaco (dove si sta svolgendo l’annuale Security Conference) anche il presidente ucraino, Petro Poroshenko, che ha anche detto di aver ricevuto unità d’intenti sul “pacchetto Azov” anche da parte del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e del chairman della Commission Esteri del Senato statunitense, James Risch.
Al momento non ci sono segnali sulla posizione dell’Italia a proposito di queste nuove sanzioni, ma forse l’uscita del vicepremier Di Maio può essere letta all’interno di certe attività dell’Ue. Tuttavia pare improbabile che Roma ponga veti sulle misure. Possibile che la questione sia stata anche al centro del colloquio che l’ambasciatore americano in Italia, Lewis Eisenberg, ha avuto con Di Maio (che sta pianificando i dettagli di un suo viaggio negli Stati Uniti) e il premier Giuseppe Conte.