In meno di 20 giorni abbiamo scoperto che potremmo essere alla vigilia di un boom economico pari a quello degli anni del ‘miracolo’ (Vice-Presidente del Consiglio, nonché Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, 11 gennaio)… ma anche che siamo in recessione, ‘tecnica’ per adesso (Presidente del Consiglio, 30 gennaio)… ma che abbiamo davanti a noi un anno pieno di grandi soddisfazioni (idem, 31 gennaio).
Mentre l’opinione pubblica viene lasciata ad indignarsi sui migranti ed a dividersi sull’autorizzazione a procedere contro Salvini, a baloccarsi con il Franco della Comunità Finanziaria Africana e il signoraggio, l’economia italiana continua il suo declino. Inarrestabile. Non per qualche maleficio scagliato dai numi contro lo Stivale, ma per una classe politica sfacciatamente dedita a spogliare il paese delle sue risorse migliori per perseguire obiettivi di potere individuali o di casta.
Sia chiaro, ho scritto “continua”, perché a parte qualche trimestre positivo (circa tre anni) dovuto a rimbalzi congiunturali (per giunta tardivi), l’economia italiana ha registrato la peggior performance (qualsiasi intervallo temporale si voglia considerare) fra i paesi dell’eurozona, fra i paesi dell’Unione Europea, e fra le maggiori potenze economiche mondiali! Un bel record. Che la dice lunga sulla classe politica che ha guidato il paese negli ultimi decenni.
Sono trent’anni che l’economia italiana è allo sbando: che ha sperperato il dividendo dell’euro per accrescere la spesa corrente; che non ha più fatto scelte industriali e strategiche per riposizionare il suo apparato produttivo in una diversa e più agguerrita competizione internazionale; che ha ignorato i segnali di ripresa per non dover cogliere l’occasione per un consolidamento delle posizioni di bilancio; che continua a fare scelte assistenzialistiche piuttosto che rivolte ad accrescere la produttività; che affossa e umilia in tutti i modi la formazione del capitale umano, centrale per attivare processi di crescita sostenibile; che considera la Pubblica Amministrazione come un unico grande calderone di inefficienza (dopo averlo considerato per decenni un grande e ghiotto bacino di clientele elettorali) e non come uno strumento al servizio delle imprese e dei cittadini; in cui ogni riforma è stata orientata alla logica del cartellino invece che a quella del risultato, in un mondo dove la maggior parte del lavoro si è smaterializzata e può essere svolta da qualsiasi punto del pianeta… Questo è l’Italia. Un paese defunto. Che sta in piedi per inerzia. Un paese che, non avendo investito per migliorare sé stesso, è costretto ad affossare gli altri (e quindi via alla propaganda contro l’imperialismo monetario francese in Africa, contro il Trattato Franco-Tedesco di Aachen, contro la Bce e il signoraggio bancario, etc) per poter dare la sensazione di difendere il popolo italiano da nemici inventati (ma plausibili).
Se oggi siamo in recessione non è colpa (unicamente) delle scelte sciagurate di questo governo; anche se il celodurismo ci è costato già qualche miliardo in maggiori interessi, le misure assistenzialistiche avranno un impatto ridotto (per essere ottimisti) sulla crescita, le infrastrutture già decise sono al palo (figuriamoci quelle da mettere in cantiere), ricerca e formazione del capitale umano subiscono l’ennesima diminuzione delle risorse, etc. Semmai del fatto che le scelte sciagurate di questo governo si siano sommate alle scelte sciagurate della maggior parte dei governi precedenti, in una soluzione di continuità che lascia davvero esterrefatti, senza alcuna speranza per il futuro.
Certo, la guerra commerciale fra Cina e Usa sta penalizzando l’intera crescita mondiale. Certo, tutta l’Unione Europea, Germania compresa, risente del contraccolpo di una stagnazione strisciante che rischia di volgere al peggio. Ma questi sono tratti appunto comuni a tutto il mondo. Se dovesse arrivare davvero una recessione, con quali spazi di bilancio potremmo affrontarla? Ci attende una manovra bis subito dopo le elezioni europee. E prima o poi una patrimoniale che non andrà a colpire i grandi patrimoni, ma tutti i patrimoni, con un’incidenza regressiva che acuirà ulteriormente le ingiustizie e le diseguaglianze nel paese.
Ad oggi, nel panorama politico italiano, non si vede all’orizzonte una forza credibile in grado di lanciare il paese verso una direzione diversa: verso il ritorno alla politica come atto di servizio alla collettività, verso una crescita che attrae e genera investimenti produttivi e non speculativi; che promuova innovazione, ricerca, difesa del territorio e del sistema infrastrutturale; una politica industriale che posizioni il nostro sistema produttivo in maniera coerente con un mercato mondiale in continua evoluzione; che investa nella formazione del capitale umano, naturale e culturale che costituisce l’unico vero ‘vantaggio comparato’ dell’Italia nella competizione internazionale; che spinga per il completamento, non la distruzione, dell’unico processo evolutivo che può darci l’unica vera speranza di acquisire una sovranità che non abbiamo mai avuto, ossia nel quadro dell’integrazione europea.
In questo deserto politico, attraversato da ombre di politicanti allo sbaraglio… in un paese in cui la mentalità dominante è ancora legata al corporativismo dell’epoca fascista… che ognuno salvi sé stesso; e i pochi amici o parenti che è in grado di tutelare e promuovere. In fondo, è esattamente questo che l’attuale Governo indica al paese.