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Lo scontro Usa-Iran, dalla conferenza programmatica al sabotaggio dei missili degli ayatollah

Il New York Times ha uno scoop bombastico (ricostruito tramite fonti operative ed ex) su cui addirittura i funzionari del governo americano, avvisati in anticipo della pubblicazione, sono dovuti intervenire perché il giornale non rivelasse alcuni dettagli: gli Stati Uniti stanno portando avanti un piano di sabotaggio contro il programma missilistico iraniano che ha un successo strepitoso, tanto che il 67 per cento dei lanci orbitali effettuati dalla Repubblica islamica in questi ultimi undici anni sono falliti, a fronte di una media che di solito – negli altri paesi – si attesta attorno al 5.

L’amministrazione Trump ha chiesto al Nyt di non rivelare certi dettagli sui fornitori e sulle pratiche più delicate, visto che non ha intenzione di interrompere le attività tramite le quali fa finire in un fiasco grossolano i test missilistici con cui gli ayatollah vorrebbero mandare in orbita vettori che secondo gli americani serviranno poi, una volta sbloccato il congelamento imposto dal Nuke Deal, per trasportare testate atomiche.

Solo nell’ultimo mese, due tentativi iraniani di lanciare tramite certi missili alcuni satelliti sono falliti nel giro pochi minuti dal “Go!“: uno ammesso da Teheran il 15 gennaio, un altro il 5 non riconosciuto. Poco dopo il test di gennaio, il segretario di Stato americano, Mike Pompeo (uno dei falchi anti-Iran che ha spinto il programma di sabotaggio nell’amministrazione Trump), aveva dichiarato che le tecnologie dei “lanciatori satellitari” – così l’Iran li chiama, per mantenerli all’interno dello spettro dei vettori a scopo civile – sono “virtualmente identiche e intercambiabili con quelle usate nei missili balistici”.

Commentando dal Pentagono, il presidente Donald Trump aveva detto contemporaneamente che se quel testo di gennaio avesse avuto successo, avrebbe fornito a Teheran “informazioni critiche” che avrebbe potuto utilizzare “per aumentare la capacità sui missili balistici intercontinentali fino a raggiungere gli Stati Uniti”. “Non abbiamo intenzione che questo accada”, diceva Trump (e col senno del poi era un messaggio chiaro).

D’altronde è la Missile Defense Review, resa pubblica dall’amministrazione Trump a inizio 2019, a indicare come prioritarie le attività “prior-to-launch“, ossia quelle che devono bloccare i missili prima del lancio.

Da ieri Pompeo è a Varsavia, dove sta guidando una conferenza internazionale con 65 paesi partecipanti (tra cui l’Italia, con il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi) che dovrebbe trattare di Medio Oriente, ma che in realtà ha come scopo quello di convincere i partecipanti sulla bontà della postura d’ingaggio contro Teheran che gli Stati Uniti hanno preso. Anche a colpi di scambi di interessi: non è un caso la partecipazione dell’Oman, paese solitamente neutrale (anzi, con qualche orientamento pro-iraniano) che però non può rinunciare ai link con gli americani; e non è nemmeno casuale che ieri, mentre iniziava la conferenza polacca, l’ambasciatrice statunitense in Polonia, Georgette Mosbacher, abbia annunciato in un’intervista al Financial Times che Washington ha deciso di aumentare la proprio presenza militare nel paese, accordando così le richieste che arrivano da tempo da Varsavia (e che hanno la deterrenza nei confronti della Russia come obiettivo).

“Vogliamo che tutti gli stati si uniscano per risolvere i problemi, questa è la nostra missione”, ha detto Pompeo – dalle sale dello stadio nazionale della capitale polacca, dove si svolge la conferenza – che ha però sottolineato come “non sia possibile arrivare a pace e stabilità senza affrontare l’Iran. Semplicemente: non è possibile” (questo secondo commento è stato affidato ai giornalisti appena conclusa una riunione faccia a faccia col primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu; Israele è un paese stretto alleato americano e acerrimo nemico dell’Iran, che sta lavorando militarmente contro le sue infiltrazioni in Siria).

Evidentemente per gli Stati Uniti “affrontare” l’Iran ha sia dimensione politica – quella della conferenza, con cui creare un fronte che possa prendere posizioni simili a quelle con cui gli americani sono usciti dall’accordo internazionale sul nucleare siglato nel 2015 – ma non esclude il piano militare. Il programma raccontato dal Nyt è stato creato sotto l’amministrazione Bush (quando ne partì anche uno simile contro le centrali nucleari), poi proseguito in forma pure più spinta con la presidenza di Barack Obama (sebbene fosse lui l’artefice dell’accordo sul nucleare) e poi ripreso attivamente dall’amministrazione Trump, soprattutto da quando Pompeo prese il posto di direttore della Cia – lo “iniettò di risorse”, scrive il NYTimes.

Sebbene il fallimento di un test missilistico possa essere conseguenza di un set complesso e ampio di malfunzionamenti, la quantità dei buchi presi dall’Iran aveva attirato l’attenzione dei giornalisti del Nyt specializzati in difesa e sicurezza, e da lì hanno iniziato a indagare. Quello che hanno scoperto, tramite le fonti che hanno parlato anonimamente del programma segreto, è che i sabotaggi sono stati organizzati con la partecipazione di aziende fornitrici di materiale aerospaziale all’Iran, e la collaborazione di francesi e inglesi. L’Onu ha alzato contro l’Iran sanzioni che colpiscono il settore missilistico, e queste hanno isolato Teheran e fatto sì che per gli approvvigionamento venissero usate vie clandestine: ma per la Cia, dicono due funzionari al Nyt, è stato più facile penetrare certe realtà, perché più facilmente riconoscibili (in effetti non sono tanti al mondo a occuparsi di contrabbandare materiale per missili balistici, ndr).

Il mondo degli approvvigionamenti è anche un settore che Pompeo conosce bene: laureato a West Point in ingegneria meccanica, ha fondato con alcuni compagni di corso la Thayer Aerospace, che produce pezzi per grande ditte aerospaziali (Boeing, Raytheon, Lockheed Martin). L’ex direttore dell’intelligence e attuale segretario di Stato sapeva, spiegano al Nyt, cosa può succedere assemblando un razzo con parti prodotte con precisione inferiore di quella estrema richiesta per i missili. E per tale ragione ha chiesto di spingere il programma come arma per sabotare (e scoraggiare) Teheran.

(Foto: Twitter, @StateDept)

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