In un’intervista su “Face The Nation” della CBS, online prima del Super Bowl e dunque con risonanza massima, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto tra le altre cose che quella militare è “un’opzione” per il Venezuela. La giornalista Margaret Brennan che conduce il programma e ha gestito l’intervista ha apertamente chiesto: “C’è qualcosa che le farebbe usare l’esercito in Venezuela?”. E Trump ha risposto: “Non voglio dirlo, ma beh… è un’opzione”.
Poi Trump ha raccontato di aver ricevuto tempo fa una richiesta di incontro da parte di Nicolas Maduro, il dittatore venezuelano, ma di averla rifiutata: adesso, ha spiegato Trump è comunque tardi, perché il processo democratico “è già in corso”, perché “c’è un giovane ed energico gentiluomo”, ha detto riferendosi a Juan Guaidó, il presidente dell’Assemblea nazionale che s’è auto-proclamato presidente con l’immediato sostegno esterno statunitense.
Quello che dice Trump sull’opzione militare è il terzo giro di questo genere di messaggi lanciato dagli Stati Uniti al regime di Caracas, con importanza via via crescente. Prima di andare avanti, oggi il presidente americano ha detto che Guaidó guida “un gruppo di persone [che lavora] dall’interno”, ed è una conferma sul fatto che Washington sappia che tipo di processo sia in corso (d’altronde, la rapidità con cui avevano riconosciuto il ruolo dell’autoproclamato presidente ad interim presupponeva una profondità di contatti).
Sui round precedenti a sfondo militarista, allora. Prima era stato Lindsey Graham, un senatore assiduo dello Studio Ovale, che aveva dichiarato in un’intervista di aver parlato con Trump, non più di qualche settimana fa, della possibilità dell’uso della “forza militare” in Venezuela per aiutare Guaidó a completare la sua opera. Poi era toccato al consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, mostrare la faccia dura mentre annunciava le sanzioni contro la petrolifera statale venezuelana con cui deviare dei soldi verso il presidente ad interim. Bolton aveva mostrato un blocco con un appunto, “5000 truppe in Colombia”, e poi rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa aveva ribadito che “tutte le opzioni” sono sul tavolo.
Ieri, mentre migliaia di persone partecipavano a manifestazioni contro il regime (le più grandi da quelle dell’auto-proclamazione del 23 gennaio), un generale dell’aeronautica, Francisco Esteban Yánez Rodríguez, è diventato il primo ufficiale delle forze armate a disertare e sostenere Guaidó – finora Maduro, che ieri ha convocato anche alcuni supporter in piazza, ha poggiato su un certo lealismo dei militari la sua permanenza al potere. Guaidó sta lavorando sull’appoggio dei militari, che però per il momento non sta arrivando. La prossima settimana potrebbero esserci giorni decisivi, perché Colombia e Brasile invieranno aiuti umanitari che dovranno entrare sotto la scorta militare: aiuti che dovrebbe gestire il presidente ad interim, e già lì si potranno capire altri allineamenti. In più, c’è da vedere come si muoveranno le dinamiche interne con l’avvio delle negoziazioni proposte dal Messico, a cui potrebbe partecipare anche l’Unione Europea.