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Acqua pubblica, la battaglia alla Camera e la chiamata alle armi di Costa

Acqua pubblica, ilva

È la prima delle cinque stelle che si staglia sul logo del Movimento: l’acqua pubblica. Una “stella cometa”, come l’ha definita il ministro dell’Ambiente Sergio Costa facendo una sorta di chiamata alle “armi” (nel corso del convegno organizzato dai pentastellati in occasione della Giornata mondiale dell’acqua) che “fin da bambino mi ha insegnato a sognare”. Il riferimento chiaro è alla proposta di legge che riforma il servizio idrico in esame alla Camera: la direzione verso la quale si punta è quella di una gestione pubblica, e che si richiama come principio ispiratore alla dichiarazione delle Nazioni Unite sull’acqua intesa come “diritto universale inalienabile”. “Ora – ha rimarcato Costa sul punto – se noi vogliamo sognare per quella stella cometa, o ci battiamo con tutto il sangue che abbiamo dentro o ce ne andiamo a casa”.

Il provvedimento – atteso inizialmente in Aula nella seconda settimana di questo mese, poi spostato al 25 marzo, e ora di nuovo slittato – è però fermo da quasi un mese, con gli emendamenti già pronti, in commissione Ambiente; dove (dopo un iter di circa otto mesi) a fronte delle circa 250 proposte di modifiche, quelle che fanno veramente paura sono proprio quelle provenienti dalla maggioranza, dall’alleato di governo: la Lega infatti con due colpi ben assestati è riuscita a smontare l’assetto della legge che ha nella “pubblicizzazione” del servizio il suo spirito guida. Visti i “pezzi di carta”, che avrebbero rischiato di esporre la maggioranza a voti discordanti, la commissione non è andata avanti.

Tutto si è fermato in attesa di trovare una mediazione politica che, però, ancora non arriva; e che sembra destinata a finire sul tavolo delle riunioni notturne di Palazzo Chigi, tra i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. E, senza un’intesa, che dovrà necessariamente veder perdere qualcuno (almeno il primo tempo di questa partita), difficilmente si sbloccherà. Anche se la cinque stelle Federica Daga, prima firmataria della pdl, non demorde e intravede una possibilità di approdo in Aula di qui a pochi giorni, magari ad aprile: “Ci riproviamo il mese prossimo. Noi andiamo avanti su questo lavoro”.

Tra le altre cose quello che ora tiene col fiato sospeso è anche la relazione tecnica al provvedimento richiesta dalle opposizioni (che potrebbe scomporre, se non chiedere sostanzialmente di riscrivere, alcuni pezzi del testo di legge); senza contare che, in quest’ottica, il parere del ministero dell’Economia avrà un “peso” di rilievo, dal momento che molte delle voci contemplate dalla legge non trovano corrispondenti coperture. Costi che spaventano, e non poco, il Carroccio che, con la discussione in corso sulla “flat tax”, non vuole proprio saperne di sentir parlare, anche se soltanto in forma di ipotesi, di nuove tasse, e dover spostare queste spese sulla fiscalità generale. E poi sul versante nord, rimangono alte le pressioni degli amministratori locali leghisti affinché tutto resti come è adesso, dal momento che le aziende idriche che operano nelle loro zone funzionano, e anche bene; e la sola l’idea, per esempio, di dover aprire un ‘ufficio acqua’ nel Comune, proprio non li entusiasma.

Insomma quella che per il M5S è “una battaglia storica” come dice Daga, e che affonda le radici nella vittoria al referendum del 2011 e nel legame col Forum dei movimenti per l’acqua pubblica (da cui poi è nata la legge di iniziativa popolare portata avanti proprio dai cinque stelle), potrebbe esser declassata a semplice battaglia politica. Oppure, amplificata: se è vero che questo è il terreno su cui confrontarsi.

Infatti, il tentativo di rilancio di quella prima stella ha il sapore dell’apertura. Trovano così spazio, insieme a ragionamenti su possibili emendamenti migliorativi al testo (“per farlo girare meglio”, ha rilevato Costa), i dati su quanto si è fatto e quando si sta facendo: come il Fondo di garanzia per le opere idriche alla firma della presidenza del Consiglio, lo stanziamento di un miliardo di euro per le opere idriche, il Piano acquedotti e gli invasi per il quale è prevista la convocazione (per il 28 marzo) di un tavolo al ministero delle Infrastrutture per le definizione dei criteri condivisi per la ripartizione, 300 milioni per le spese emergenziali, e le risorse per la messa in sicurezza.

Neanche l’acqua però – anche se oggi il tema per tutti sarebbe dovuto essere soltanto quella sua sostenibilità a livello mondiale – riesce a far tornare i conti tra le due anime che condividono il governo del Paese; da un lato la prima forza parlamentare, il M5S che vorrebbe ma non può, dall’altro la prima forza politica (probabilmente, al netto dei sondaggi), la Lega che potrebbe ma non vuole. In attesa di capire quale soluzione verrà adottata per sciogliere i nodi (con il vento delle elezioni europee che incombe e chiede di sventolare altre bandierine dopo quella del reddito di cittadinanza e il rinvio del Tav), il messaggio del M5S, rilanciando l’acqua pubblica, potrebbe rivelare l’intenzione di fare di quella prima stella un punto da cui ripartire per recuperare forza politica all’interno del governo. E anche nel Paese.

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