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Perché la stabilità dell’Algeria interessa anche all’Italia. L’analisi di Indelicato

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Dalle dune del Sahara all’Università di Algeri si attende un segnale dalla Svizzera per far cessare la tempesta di sabbia che da mesi imperversa sulle istituzioni algerine. Questione di ore o di giorni, ma dalla clinica di Ginevra, nella qual sotto falso nome è da mesi ricoverato l’82enne Capo dello Stato, sembra ormai ineluttabile l’arrivo della notizia delle dimissioni dalla presidenza di Abdelaziz Bouteflika.

“Ci sono due tipi di speranza. La speranza che accompagna l’aspirazione, e quella che implora il miracolo”, dice lo scrittore algerino Yasmina Khadra. La speranza del popolo algerino, al quale si sono aggiunte le forze armate, vertici politici progressisti e i sindacati, è quella che accompagna il progetto di una svolta democratica per Paese moderno. Attese, speranze e timori che da Algeri rimbalzano a tutto il Mediterraneo.

Il time out del capo di Stato maggiore, generale Ahmed Gaid Salah, che ha chiesto l’attuazione dell’articolo 102 della Costituzione per destituire il Capo dello Stato ormai “impossibilitato a esercitare le proprie funzioni” ha interrotto la rischiosa deriva nella quale rischiava di avvitarsi l’Algeria. “Si il colpo decisivo a Bouteflika é arrivato dall’esercito, che di fatto lo ha scaricato” conferma l’editorialista Mauro Indelicato, esperto di strategie politiche e militari.

Situazione in corso?

Ad Algeri e in tutto il Paese è in corso una mobilitazione popolare, che oramai dura da più di due mesi. Tutto si sta svolgendo in maniera pacifica, ma le tensioni non mancano.

Tensioni provocate dai continui tentativi di Bouteflika di decidere tempi e modi della successione?

È proprio questo tergiversare che non è andato giù all’opinione pubblica, scesa in piazza per chiedere un cambiamento. Gran parte dei manifestanti sono giovani, nati durante o dopo la guerra civile degli anni ’90 di cui non hanno ricordi diretti. Dunque, questa volta non si è verificato l’effetto deterrente dato dalla paura di ritrovarsi nuovamente al centro del conflitto e le proteste sono andate avanti.

Da qui i continui passi indietro del presidente: prima conferma la candidatura, promettendo però di dimettersi poco dopo in caso di elezione. Successivamente ha formato un nuovo esecutivo con personaggi più rispettati agli occhi dell’elettorato. Poi è stata la volta del ritiro della candidatura, con però la decisione del rinvio del voto ed una gestione della fase transitoria affidata sempre a lui mentre i manifestanti invece vogliono la fine immediata dell’era di Bouteflika. Un coro a cui si è aggiunto anche buona parte della società civile, dei partiti e di pezzi della stessa maggioranza.

Che impatto istituzionale ha per l’Algeria la richiesta di dimissioni del presidente avanzata dal vertice militare?

Assicura comunque al Caspio dello Stato un’uscita di scena onorevole ed in grado anche di salvaguardare l’attuale costituzione. Del resto i manifestanti al momento non criticano l’operato dell’anziano presidente in sé, quanto una quinta ricandidatura giudicata come presa in giro per via della salute di Bouteflika, che dal 2013 è costretto sulla sedia a rotelle per via di un ictus e che spesso non appare avere la lucidità necessaria per svolgere il proprio compito.

Reazioni internazionali?

La comunità internazionale ovviamente non è rimasta a guardare. Tutte le potenze più importanti ed i vicini regionali concordano con la necessità di garantire la stabilità all’Algeria: dal gas alla lotta al terrorismo, dalla sicurezza al commercio, sono tanti i temi che rendono strategico il paese e che fanno auspicare una risoluzione pacifica ed “indolore” della vicenda.

Possibili ripercussioni per l’Italia?

Il nostro è il Paese più interessato: dall’Algeria importiamo un terzo del nostro fabbisogno nazionale di energia. Dal 1982 il gasdotto “Enrico Mattei” permette l’esportazione di gas algerino verso il nostro paese ed è una delle infrastrutture più importanti sia dell’Algeria che dell’Italia. A questo occorre aggiungere i rapporti molto stretti tra l’Eni e la Sonatrach, ossia l’azienda di stato algerina per gli idrocarburi. Di recente, tra le altre cose, la Sonatrach ha acquistato buona parte delle raffinerie e degli stabilimenti di Augusta in Sicilia. Ma non c’è soltanto il gas od il petrolio tra le tematiche più importanti dello strategico rapporto bilaterale tra Italia ed Algeria. Il nostro paese guarda con preoccupazione ad una possibile destabilizzazione del paese nordafricano anche per via del tema della sicurezza.

Conseguenze?

Un’Algeria destabilizzata o con istituzioni statali paralizzate, potrebbe farla diventare nuovo hub di terroristi islamici e scafisti. Per l’Italia, che già sotto questo fronte dal 2011 è in difficoltà riguardo a quanto sta avvenendo nella Libia post Gheddafi, tutto ciò potrebbe rappresentare un duro colpo. In particolare, i timori riguardano soprattutto l’aumento di sbarchi di migranti provenienti dalle coste algerine e lo spauracchio di vedere una possibile avanzata jihadista a poche miglia di mare dalla proprie coste.

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