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Algeria, governo tecnico e blocco di un potere che deve rinnovarsi. Il commento di Giro

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In Algeria, dopo le dure proteste dei giorni scorsi e la rinuncia a ricandidarsi dello storico, anziano e malato presidente Abdelaziz Bouteflika, l’appena arrivato governo di transizione, attraverso il neo premier Noureddine Bedoui sta lanciando messaggi di rassicurazione alla popolazione. Un esecutivo composto da tecnocrati, dunque, che “sarà aperto a tutti” e il cui mandato non dovrebbe “superare un anno”.

Il tutto, naturalmente, per condurre il Paese verso una Conferenza nazionale “inclusiva” e successive elezioni. “Sicuramente c’è un problema di successione all’interno del blocco di potere, anche perché altrimenti il nuovo candidato lo avrebbero già trovato. La decisione di rinviare questa scelta è quindi sicuramente un modo per prendere tempo, anche se con alcuni segnali positivi, ancora piccoli, come per esempio la nomina del vice premier Ramatan Lamamra (ex ministro degli Esteri ndr), una persona molto stimata, un diplomatico”, ha affermato il già vice ministro degli Esteri Mario Giro in una conversazione con Formiche.net. E ha poi aggiunto: “Si tratta di vedere se il potere attuale riesce a rinnovarsi dall’interno”.

In ogni caso uno dei problemi fondamentali che potrebbe presentarsi nel già fragile momento in cui versa l’Algeria è la possibilità che il potere dell’esercito venga meno. Nel Paese, infatti, i partiti restano deboli e, di fatto, è l’apparato di sicurezza la sponda che permette alla politica di governare. “Il blocco di potere attualmente è costituito dagli apparati di sicurezza, dall’esercito, ma anche da una serie di oligarchi economici e dal vecchio binomio Fln-Rnv, partiti che controllano il governo. Resta comunque un gruppo che si deve mettere d’accordo, anche perché dalla piazza non emergono per il momento nuovi leader e gli altri partiti non contano quasi niente”.

Un altro elemento da considerare sono i trascorsi della sanguinosa guerra civile algerina, che fino alla presa del potere di Bouteflika, nel 1999 aveva insanguinato il Paese causando circa 200 mila morti. Quanto, dunque, questo trascorso recente può pesare nella gestione della situazione? Secondo l’autore del volume “Algeria in ostaggio. Tra esercito e fondamentalismo: storia di una pace difficile (1997)”, in questo momento pare poco: “I giovani hanno avuto il coraggio di scendere in piazza, come nel 1988, anche se in questo caso non in modo violento, con grande coscienza civica. Sono manifestazioni molto diverse rispetto al passato ma il punto di vista politico rimane lo stesso: l’apertura verso la democratizzazione”.

Ma a questo punto il problema resta concreto. E cioè come si può passare alla fase successiva di questo processo: l’organizzazione di elezioni libere. “Se la piazza esprime una leadership allora potrà esserci un negoziato, anche se per adesso questo non è ancora avvenuto perché la piazza non si fida dei vecchi partiti. Ci vuole quindi una nuova forma di leadership”. E se c’è chi vede all’orizzonte avvicinarsi il problema terrorismo, Giro sostiene: “Non direi terrorismo. Per adesso potrebbe esserci una ripresa del mondo islamista”.

Altro tassello chiave di questa vicenda, d’altra parte sono le ingerenze esterne, in particolare della Francia: “La Francia si è espressa attraverso le parole del suo presidente che ha detto con grande rispetto di seguire ciò che sta avvenendo. Ma non si potrà fare più di tanto perché gli algerini vogliono fare da sé”. Anche se ovviamente a livello economico-commerciale sono diverse le preoccupazioni che investono gli attori internazionali. Prima di tutto “che non si sappia dove finiscano i soldi del petrolio, anche se questa è una questione pluridecennale e il fatto che l’Algeria importa circa il 90% di quello che consuma. E quindi è dipendente dall’estero”.

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