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La sfida degli algerini e lo spettro del modello siriano

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La vicenda algerina ha portato in primo piano, nelle ultime ore, l’abilità indiscutibile dei cantori di una parola, la “stabilità”. Costoro cambiano, ma la stabilità rimane una menzogna elegante dietro la quale vendere o tutelare interessi blasfemi presentandosi come devoti. Da diversi giorni tutti i grandi quotidiani europei convenivano nel dire che la Francia seguiva con enorme apprensione gli sviluppi algerini. Ma cosa esattamente seguivano con apprensione le autorità parigine? Le pretese di un uomo semi paralizzato, forse incapace di parlare, di ricandidarsi al potere per il quinto mandato presidenziale consecutivo? Lui è lì, tra i vertici del sistema algerino, dagli anni Sessanta. Basta? Sembra di no, insegue un quinto mandato presidenziale con il consenso dei suoi compagni d’armi. Ma per i giornali di tutt’Europa la preoccupazione di Parigi, che conosceva l’importanza energetica dell’Algeria, più che l’ingordigia di Boutaflika sembra stare nello sviluppo delle proteste algerine contro di essa. Perché? Perché il treno potrebbe deragliare e chi ne risentirebbe sarebbe “la stabilità”…

Poi Boutaflika dirama un comunicato che non legge lui, ma fa leggere al suo “amato popolo”. Ha capito, il presidente, cosa gli ha detto il popolo. E rinuncia a ricandidarsi. Nell’occasione di una così nobile rinuncia però sarà bene che non si tengano neanche le elezioni presidenziali, lui farà l’ultimo regalo al suo popolo, guiderà il processo di revisione costituzionale fino a che arrivi in porti sicuri, presumibilmente entro l’anno, poi gli algerini potranno scegliere un nuovo presidente della Repubblica, e lui prendersi il meritato riposo. Parigi ha subito elogiato il senso di attaccamento al bene comune, la rinuncia alla pretesa forse eccessiva. Il dado, per Parigi, è tratto. Nel nome della stabilità, ovviamente. In pochi mesi il processo di ammodernamento costituzionale si concluderà e l’Algeria, grazie al senso di responsabilità di Boutaflika, potrà procedere nel suo cammino. La stabilità sarà salva, l’amicizia franco-algerina preservata, la democrazia difesa e rilanciata.

Accade però che gli algerini si pongano una domanda. Il mandato presidenziale di Boutaflika scade adesso; perché si dovrebbe estendere? Perché non può essere il suo successore eletto a condurre in porto il processo di revisione costituzionale? Domanda logica, che a Parigi sembra strano non si siano posti. Forse perché sanno che la stabilità è il sinonimo di eternizzazione del “pouvoir”, il potere, per il “Pouvoir” algerino, il “Potere” algerino. Sempre lo stesso dalla decolonizzazione. Dirlo sta male però, meglio parlare di stabilità. Un bene certamente, basta che non lo si confonda con la stabilità del Pouvoir. I generali ragionano in tempi biblici ovunque nel mondo, ma la democrazia avrebbe certe regole che con il tempo hanno molto a che fare, e a Parigi lo sanno, forse non da millenni, ma da secoli di sicuro.

Ecco allora che la scelta verrà presentata, ma come? Scelta tra una tirannide militare che si impone agli algerini da decenni e la volontà del popolo sovrano o come la scelta tra un salto nel buio angoscioso per tutti e la “stabilità” di un prezioso bacino mediterraneo?

Se in Algeria prevarrà, come sembra, la prima opzione e gli algerini chiederanno in massa di non essere presi per il naso dai generali, si potrebbe aprire una fase delicata. Nessuno può dire come evolverà ma non si può escludere che sia legittimo temere plausibile anche uno scenario del genere: le manifestazioni di piazza potrebbero proseguire, pacifiche, proprio come accadde otto anni fa in un Paese amico dell’Algeria, la Siria. Come è accaduto in Siria, quando il destino del governo fosse traballante, potrebbe emergere una sigla famosa e paurosa: quella di Daesh, o Isis.

I figli di quel celebre mercante di pollame che anni fa in Algeria si spacciò per imam fondamentalista pubblicando sentenze religiose nelle quali si sbagliavano le citazioni coraniche potrebbero esser ben lieti di divenire protagonisti del nuovo spettro islamista, con bandiere nere e tanta ferocia da ostentare. I nuovi gruppi armati del Califfato giunto a due passi da Algeri, dopo aver letto le nuove sentenze religiose, potrebbero mettersi a uccidere.

A quel punto l’esercito potrebbe intervenire con estrema crudeltà, ovviamente per preservare le istituzioni e la stabilità. La nuova similitudine siro-algerina confermerebbe la validità universale del modello Assad, quello che ha “salvato la stabilità” in Siria al costo di 6 milioni di profughi e 5 milioni di sfollati su 20 milioni di abitanti. Le Pouvoir, il Potere algerino, conosce molto bene il nostro attaccamento alla “stabilità”, e la reazione parigina alla nobile disponibilità offerta dal presidente Boutaflika potrebbe già essere stata esaminata con attenzione dagli strateghi dei piani alti dell’esercito. Poi falangi di intellettuali di sinistra potrebbero nuovamente trovare nella vecchia amicizia algerino-moscovita conferme importanti per il loro amor proprio, parlando magari di “resistenza” e di dedizione del Fln al bene comune. E alla stabilità, ovviamente.

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