Questa mattina, alle 5:20 (4:20 italiane) un missile proveniente dalla Striscia di Gaza ha colpito la zona residenziale Sharon, a nord di Tel Aviv, causando la distruzione dell’edificio e ferendo tutti gli abitanti dello stesso, tra cui due bambini. Tel Aviv è bersaglio di attacchi missilistici che portano la firma di Hamas e della Jihad Islamica da diverse settimane ormai, anche se tutti i precedenti tentativi di colpire la metropoli sono stati scongiurati dal sistema di difesa anti missilistico Iron Dome.
INTERROGATIVI CHE CIRCONDANO L’ATTACCO
In questo caso, però, il sistema non è stato sufficiente a scongiurare la tragedia, in particolare a causa della zona, mai colpita da un missile di Gaza con un così ampio raggio d’azione. La comunità agricola di Mishmeret, cittadina situata nella pianura di Sharon, composta da poco più di mille abitanti, è stata avvertita dell’attacco dai sistemi di allarme e Red alert, anche se i pochi secondi che separano le sirene dalla caduta dei vettori non sono stati sufficienti a lasciare illesi gli abitanti della palazzina distrutta e delle limitrofe zone interessate dell’incendio che ha seguito l’attacco.
ATTRIBUZIONE?
Fino ad ora nessun gruppo terroristico ha reclamato la responsabilità del lancio, anche se gli attacchi del 14 marzo sono stati rivendicati da Hamas come un “errore” commesso da giovani leve inesperte. Il razzo, secondo quanto riporta la stampa israeliana, sembra sia stato sparato dall’area di Rafah nel Sud di Gaza, a circa cento km da Mishmeret. Quello che spaventa maggiormente è che se questi dati fossero confermati, si tratterebbe dell’attacco con raggio d’azione maggiore perpetrato dai jihadisti a Gaza sin dalla guerra del 2014. L’ampia distanza ed il danno significativo, inoltre, indicano che si tratti di un’arma non troppo casalinga, sviluppata dunque da un gruppo terroristico potente e radicato, come Hamas o la Jihad Islamica. I primi, governanti de facto della Striscia e alla ricerca di un’intesa con l’Egitto per mitigare il conflitto con Israele, potrebbero aver posto la parola “fine” all’atteggiamento moderato del primo ministro Netanyahu, giudicato dagli avversari politici uno di “manica larga” nei confronti di Hamas. Nell’ambito del conflitto interno che divora la Striscia di Gaza, il gruppo terroristico della “Jihad Islamica” è sospettato, così come Hamas, di essere responsabile dell’attacco. In particolare, questo gruppo è fortemente sostenuto dall’Iran, e a riprova del loro coinvolgimento potrebbe esserci infatti anche il fatto che il missile ha un gittata tale da destare il sospetto che sia di fabbricazione iraniana. Secondo alcune indiscrezione potrebbe trattarsi, invece, del missile J-80, creato in onore di Ahmed Jabari (un capo militare di Hamas ucciso nel 2012) e fabbricato nell’enclave palestinese. I due gruppi sono attualmente impegnati sia in un lacerante conflitto nella Striscia, che contro l’Autorità Palestinese in Cisgiordania, mentre Hamas sta reprimendo con violenza le proteste popolari attualmente in corso nella Striscia.
UN ATTACCO CHE SCONVOLGE I PIANI
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, criticato dagli avversari che ne sfideranno la poltrona nelle elezioni del 9 aprile di non occuparsi “abbastanza” della sicurezza di Israele, si trovava negli Stati Uniti al momento dell’attacco. Appena informato di quanto accaduto, “Bibi” ha annullato il suo intervento presso l’annuale conferenza dell’American Israel Public Affairs Committee, mantenendo solo l’impegno già programmato con il presidente americano Donald Trump. Oggi è anche il giorno in cui il leader statunitense ha pianificato la firma del riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan, un evento storico per Israele che già esercita “de facto” la sovranità sulle alture al confine con la Siria.
SCENARI
Netanyahu ha affermato che Israele risponderà all’attacco, e mentre in tutto il paese sono stati richiamati i riservisti a coprire le zone di confine con la Striscia, Hamas ha fatto sapere di aver evacuato le proprie posizioni di comando per paura di una rappresaglia. Dopo le dichiarazioni di Netanyahu, il capo della Jihad Islamica palestinese, Ziyad al Nakhalah, ha avvertito Israele di non attaccare la striscia, perché il gruppo è pronto a rispondere a qualsiasi rappresaglia. Secondo quanto dichiarato da Amos Yadlin, direttore dell’Institute for National Security Studies e già capo dell’intelligence israeliana, Hamas ha trovato un punto debole nella strategia di deterrenza israeliana. Starebbe, infatti, utilizzando piccoli attacchi contro lo stato ebraico, consapevole del fatto che in questo momento Israele non vuole entrare in guerra. Provocazioni al limite dell’accettabile, come quella odierna, si possono interrompere solo con un contrattacco efficace, che spinga il gruppo terroristico a valutare con maggior criterio l’eventualità di lanciare razzi contro Israele. Secondo l’ex direttore dell’intelligence di Gerusalemme, è necessario un cambiamento nella strategia di deterrenza militare, nonché nei rapporti con l’autorità palestinese. Le elezioni sono alle porte, e se Netanyahu, che dall’uscita di Avigdor Lieberman dalla coalizione di maggioranza detiene anche il ruolo di Ministro della Difesa, potrebbe non essere pronto a scatenare una guerra in un momento così delicato, i terroristi di Hamas stanno sfruttando a proprio vantaggio questa fase così delicata. Se questa volta abbiano “passato” il segno, lo sapremo solo nel tardo pomeriggio, al rientro del Primo Ministro dagli Stati Uniti.