Se al Copasir giudicano “allarmante” l’audizione del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per la sottovalutazione delle conseguenze del possibile accordo con la Cina, vuol dire che la situazione è più seria di quanto già non si sia capito. Se Conte e il vicepresidente Luigi Di Maio puntano a ridimensionare l’accordo a puro scambio commerciale, dal punto di vista di Pechino invece è solo un tassello nella più ampia strategia per arrivare a un’alleanza globale che si opponga a quella occidentale. La Belt and Road Initiative, Bri, detta comunemente la Via della Seta, è infatti dal 2017 nello statuto del Partito comunista cinese e dal 2018 costituisce il preambolo della nuova Costituzione. Credere che vogliano limitarsi al commercio appare ingenuo, eppure la politica estera del governo Conte sembra avere già da tempo intrapreso una strada completamente diversa da quella tradizionale della politica estera italiana: per esempio la neutralità sul Venezuela (nazione importante dal punto di vista energetico per la Cina) oppure l’astensione, che equivale al voto contrario, espressa a Bruxelles sul regolamento adottato il 5 marzo dal Consiglio europeo che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione.
L’ipotesi di accordo da firmare il 22 marzo con il presidente cinese Xi Jinping presenta evidenti ed enormi implicazioni sul fronte della sicurezza italiana ed europea, quindi anche della Nato, e dunque coinvolge gli Stati Uniti. In un’intervista al Corriere della Sera Conte ha negato che l’Italia possa essere un cavallo di Troia sostenendo che l’accordo commerciale con Pechino “è perfettamente compatibile con la nostra collocazione nell’Alleanza atlantica e nel sistema integrato europeo”. Inoltre, ha garantito che non ci sarebbero problemi neanche sul fronte delle telecomunicazioni e della sicurezza cibernetica, sottolineando (e non è la prima volta negli ultimi tempi) che ha mantenuto per sé la delega all’intelligence. Su questo fronte, anche se in quell’intervista Conte ha detto che “l’Alleanza atlantica è il pilastro fondamentale della nostra politica estera”, le tensioni con gli americani sembrano essere notevoli: lo stesso Corriere scrive che, se l’Italia aderirà alla Via della Seta, potrebbero essere negate le informazioni riservate ai nostri servizi segreti e non sarebbe più consegnato materiale sensibile in quei porti, come Genova e Trieste, “aperti” alla Cina. Una minaccia che causerebbe non solo enormi difficoltà operative, ma anche problemi alla nostra sicurezza. Gli americani fanno chiaro riferimento alla Nato e alle tante collaborazioni militari nel mondo: essere tagliati fuori dalle informazioni classificate statunitensi significherebbe l’isolamento perché è intuibile che certe informazioni non potrebbero arrivarci neanche da altri alleati che continuerebbero a esserne in possesso.
Secondo il Wall Street Journal, l’ambasciatore americano a Berlino ha scritto al governo tedesco avvisandolo che non ci sarà più la stessa collaborazione tra le intelligence dei due Paesi se Huawei o altre società cinesi parteciperanno al progetto di connessione internet a 5G. Autorevoli fonti italiane spiegano che finora gli Stati Uniti non hanno scritto un’analoga lettera al governo Conte e quindi saremmo di fronte a un ultimatum di Washington attraverso i media: fermatevi finché siete in tempo.
Nella confusione di questi giorni spicca l’intervista rilasciata all’Huffington Post dal sottosegretario del ministero per lo Sviluppo economico Michele Geraci, leghista da sempre sponsor dell’intesa con i cinesi nonostante i dubbi di Matteo Salvini: la firma dell’accordo, che lui continua a sostenere convintamente, “è tutt’altro che scontata” perché lo si sta valutando in relazione agli interessi italiani. Le rassicurazioni di Conte con quell’intervista, fin troppo tranquillizzante, fanno il paio con quelle di Di Maio, secondo il quale “la via della Seta non è assolutamente l’occasione per stabilire nuove alleanze a livello mondiale e geopolitico, ma il modo per dire che dobbiamo riequilibrare le esportazioni di più sul nostro lato, un rapporto ora sbilanciato sulla Cina”. Entrambi sembrano stringere Salvini in una tenaglia: il ministro dell’Interno ribadisce che l’Italia “non sarà la colonia di nessuno” e che “la sicurezza nazionale viene prima di qualunque interesse commerciale”. Giusto, ma se i suoi alleati dicono il contrario e se al Copasir si allarmano c’è più di qualcosa che non va.