Puntare sul golden power per mitigare i rischi derivanti da una adesione italiana alla Via della Seta cinese “non vuol dire risolvere il problema, ma rimandarlo”. A crederlo è Mario Caligiuri, direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria e autore con Andrea Sberze del libro “Il pericolo viene dal mare. Intelligence e portualità” (Rubbettino editore), che analizza i dossier in una conversazione con Formiche.net.
Professor Caligiuri, oggi – alla presenza di Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini – si è tenuto un vertice di governo che ha dato il via libera al memorandum tra Italia e Cina. Al termine dell’incontro il presidente del Consiglio ha spiegato che l’Italia si cautelerà da rischi per la sicurezza rafforzando il golden power. Che cosa ne pensa?
Il tema in questo caso è tutelare o meno l’interesse nazionale. La Bri rappresenta una strategia di penetrazione politica, economica e culturale e dell’intero sistema ideologico cinese nei confronti dell’Eurasia. Nei prossimi anni si prevede un importante confronto a livello internazionale tra il Washington Consensus e il Beijing Consensus, vale a dire tra un modello basato su libere elezioni, libertà di espressione ma basso livello di crescita economica, contro un modello meno liberale ma con un altissimo livello di crescita. I Paesi in via di sviluppo, in particolar modo quelli africani, potranno essere potenzialmente attratti dal modello cinese, perché garantisce una maggiore crescita economica nonché una maggiore stabilità politica. D’altro canto ormai in Occidente le multinazionali hanno più potere degli Stati, mentre in Cina la politica è talmente forte da indirizzare le grandi aziende in modo che rispondano all’interesse nazionale. Puntando sul golden power e non tenendo dunque conto di questi dati noi non facciamo altro che spostare in là il problema, come accadrebbe nel caso dei porti.
Che problemi porrebbe il coinvolgimento di porti italiani?
Genova e Trieste sembrano essere al momento i principali candidati per l’accordo Belt and Road in relazione al contesto italiano. I porti Italiani sono storicamente strategici perché sono da un lato la porta di accesso al Mediterraneo, tramite il quale arrivano merci destinate a tutto il continente e in transito verso l’Atlantico, dall’altro il varco per il cuore dell’Europa. È evidente che a livello commerciale alcune parti dell’accordo sembrano convenienti, ma dobbiamo tenere presente che la nuova Via della Seta non è un progetto che si limiti alla penetrazione economica, ma ha importanti risvolti dal punto di vista della sicurezza e dell’intelligence.
Perché i porti sono così importanti in ambito intelligence? Lei e Andrea Sberze avete scritto un libro su questo tema, “Il pericolo viene dal mare”.
I porti sono importanti perché il potere di uno Stato si identifica sempre di più con le sue dimensioni economiche. Considerando che oltre l’80% del commercio mondiale oggi viaggia tramite nave ed è destinato a crescere, i porti rappresentano il pilastro principale degli interessi economici di un Paese. Un altro motivo per il quale i porti sono fondamentali è che si tratta di infrastrutture strategiche per la sicurezza dello Stato. Traffici illeciti, come droghe e armi, la questione dell’immigrazione, nonché la possibile convergenza tra terrorismo e criminalità dimostrano che la sicurezza di uno Stato passa per i porti perché appunto, come ho scritto con Andrea Sberze, “il pericolo viene dal mare”.
Spesso si parla di via della Seta solo in ambito infrastrutturale classico, ma si tralasciano le nuove “vie”, ovvero quelle digitali. L’enfasi sul 5G dimostra però che il tema è centrale nello sviluppo dei rapporti geopolitici. Che opinione ha in merito?
Secondo alcuni analisti in futuro il rating di una nazione dipenderà anche dalla sicurezza digitale. L’Europa sembra aver rinunciato ad avere una politica digitale mentre la Cina si oppone a questa incertezza occidentale con una cyber diplomazia nella quale ha coinvolto anche Russia, Sudafrica, Brasile e India. L’obiettivo è quello di creare un’alternativa al modello americano. La proposta cinese è aggressiva e utilizza la riduzione dei costi per rendersi appetibile.
Dove si colloca l’Italia?
La sicurezza informatica è un tema di preoccupazione universale, come l’ambiente e la lotta alla criminalità. E a problemi globali occorre provare a definire risposte globali. Questo richiede scelte politiche anche da parte italiana. Il nostro Paese sta facendo importanti passi avanti sul piano della sicurezza digitale, anche grazie alle attività del vice direttore del Dis con delega alla cyber security Roberto Baldoni. A livello politico occorre avere idee chiare.
L’utilizzo di tecnologia cinese per lo sviluppo della nostra rete 5G potrebbe creare problemi nello scambio di informazioni di intelligence con gli alleati?
Se parte delle infrastrutture del 5G vedranno nel nostro Paese Huawei come uno dei protagonisti, dobbiamo poi mettere nel conto che, per ovvi motivi, lo scambio di intelligence con i nostri tradizionali alleati potrebbe presentare notevoli ostacoli. Lo stanno dicendo da giorni gli americani: la condivisione di informazioni sensibili è a rischio. E non solo con l’Italia.
Che tipo di rapporti andrebbero dunque costruiti con Pechino?
I rapporti attuali con la Cina vanno inquadrati nell’ambito di una politica estera che salvaguardi gli interessi nazionali, che devono contemperare accordi economici convenienti con le relazioni con gli alleati storici. Quindi andrebbe inquadrato l’approccio giusto per definire e ricercare l’interesse nazionale italiano, che non a caso già anni fa Lucio Caracciolo aveva definito “terra incognita”. È importante identificare in maniera precisa e non sfumata tutti gli aspetti dell’accordo con la Cina che verrà sottoscritto nei prossimi giorni. Pertanto, non vanno rinviate le decisioni bensì definire preventivamente in maniera adeguata, punto per punto, con quale meccanismo l’Italia intenda tutelarsi su ogni fronte. I porti italiani sono fondamentali storicamente e geopoliticamente. L’Italia deve rafforzare la propria politica marittima è strategica per ribadire l’interesse nazionale.