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La Cina perde ancora pezzi. Ora le aziende non rimborsano più i bond

Sarà anche la vigilia della firma del memorandum per la nascita della Via della Seta, ma l’economia cinese continua a perdere pezzi. Pezzi importanti visto che si tratta a tutti gli effetti di economia reale: aziende, lavoratori, risparmiatori. Pechino ha un problema serio, non riesce più a fare del Pil come una volta. Tanto che lo stesso 2018 ha fatto registrare la crescita più bassa dal 1990 ad oggi. Ora però le cose iniziano a mettersi davvero male per il Dragone. Centinaia di aziende stanno infatti andando incontro a fallimenti o stati di insolvenza, impossibilitate a restituire al mercato i soldi prestati attraverso l’emissione di bond. Quando una società ha bisogno di liquidità fresca, in alternativa al prestito bancario possono ricorrere all’emissione obbligazionaria: i risparmiatori comprano quel titolo in cambio di una cedola da staccare nei mesi successivi. Ora tutto questo si sta rivelando un gigantesco fallimento.

L’ultimo rapporto della banca d’affari Dbs di Singapore parla fin troppo chiaro. Lo scorso anno la Cina ha raggiunto un ammontare delle insolvenze da bond senza precedenti, pari a 119,6 miliardi di yuan (17,8 miliardi di dollari), quattro volte più del 2017. Ancora più alte le stime della banca giapponese Nomura, secondo cui i default si aggirano intorno a 159,6 miliardi di yuan (23,8 miliardi di dollari). In pratica sempre più imprese cinesi non riescono più a restituire il denaro prestato ma non dalla banca, bensì dai risparmiatori. I quali si ritrovano in mano un pugno di mosche, avendo speso soldi che mai rivedranno (in Italia se ne sa qualcosa con i casi Etruria&co). Di conseguenza, le società chiudono, mandano lavoratori a casa e chi ha investito in quell’azienda comprandone i bond rimane senza un dollaro in tasca.

Ancora, stavolta le cifre sono di Goldman Sachs, negli ultimi 12 mesi in Cina si sono contati 26 default di bond emessi da società quotate in Borsa per un ammontare di 15,8 miliardi di dollari di obbligazioni, ovvero lo 0,6% del totale di inizio anno, ma oltre il doppio rispetto all’intero 2016. Insomma, il vero male cinese sembra essere il debito (tutto è iniziato nel 2014 con il primo default in seguito a un bond collocato sul mercato domestico, da parte di Shanghai Soalar Chaori), sia quello privato emesso dalle società sotto forma di obbligazioni, sia quello pubblico, emesso dal governo centrale.

L’orologio del debito pubblico cinese infatti oggi segna oltre 4.600 miliardi di dollari. Una cifra che va moltiplicata per 2,5 se si considerano anche i debiti dei veicoli finanziari delle municipalità locali. E che supera, dunque, gli 11.500 miliardi di dollari Usa.  Partendo da queste non stupisce una certa propensione da parte delle banche cinesi a cercare di prestare denaro alle aziende italiane coinvolte nei progetti della Via della Seta (qui l’intervista all’economista Giulio Sapelli), un modo per collocare debito cinese altrove, visto che in Cina il denaro prestato non sembra tornare più indietro.

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