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La nuova trattativa tra Cina e Italia. Un programma operativo

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Il Memorandum of Understanding già firmato, malgrado tutti lo neghino, tra l’Italia e la Cina, di cui comunque si tratterà durante la visita del presidente Xi Jinping in Italia nei prossimi giorni, riguarda, come dice lo stesso governo cinese, “le strade, le vie ferrate, l’aviazione, i porti, l’energia e le telecomunicazioni”. Con ulteriori complementarità, dicono sempre le parti cinesi, sulla “industria dell’agro-food, sulla sicurezza alimentare, sulla salute animale e umana, sulla connettività euroasiatica e sull’accesso generale ai rispettivi mercati”. Nelle more, quindi, del 15° anniversario della Comprehensive Strategic Partnership, tra Pechino e Roma, nel 50° del Mutuo Riconoscimento diplomatico, si verificano quindi una serie di nuovi elementi, che potrebbero anche favorire i nuovi rapporti tra ogni Paese Eu e la Cina: le asimmetrie strutturali tra i vari Paesi Eu, che combattono più tra di loro che non contro un ipotetico nemico comune, poi la fortissima differenziazione, che è sempre maggiore, degli investimenti cinesi nella stessa Ue, infine l’eccessivo economicismo delle relazioni bilaterali tra i vari Paesi Ue e la Cina.

Spesso così ingenuo da fare, immagino, tirare qualche sorriso tra i vecchi marxisti del Pcc. I punti salienti del memo tra Roma e Pechino sono, quindi, fuori dalle retoriche giornalistiche: gli investimenti cinesi nel porto di Trieste, che muove oggi 62,7 milioni di tonnellate, il dato è del 2018, che è ormai il più grande nel Mediterraneo; ma poi vi è la ulteriore collaborazione tra State Grid e la Terna italiana di Cdp, la società per la distribuzione di energia elettrica. Qui, i cinesi sono interessatissimi, a parte il “fuoco” giornalistico sulla rete 5G. La ditta cinese State Grid detiene, a tutt’oggi, il 35% di Cdp Reti, la società che controlla il 29,8% di Terna. Ecco, è questo il primo vero affare che Pechino chiede. Poi, vi sarà una specifica MoU sui trasporti, che è già all’attenzione dell’attuale Governo italiano. Trasporti tra Italia e Ue, trasporti tra Italia e Maghreb, Mediterraneo, in qualche caso Africa. Attenti, qui il problema si fa serio: la Cina non vuole rincorrere Haftar, di cui sa tutto, in Libia, e non vuole certo favorire la Francia. Quindi, o noi, o loro, i francesi. Allora, noi. Qui, la logica economica e quella strategica, anche in rapporto con gli amici americani, vanno perfettamente d’accordo. Tutto vuole Washington tranne che una nuova Africa senza contrasto al potere di Parigi. Tutto vuole, poi, l’America del Nord salvo che un nuovo Medio Oriente con un protagonismo, filorusso o meno, dei tedeschi.

Washington vuole una nuova autonomia militare italiana che limi le unghie dei tedeschi. Ecco quindi che, qui, in questo caso, possiamo organizzare una buona relazione tripla. È tutto qui, almeno per quel che riguarda i documenti che abbiamo finora potuto leggere. Quindi, vi sono in gioco, nel rapporto tra Roma e Pechino, due campi e due logiche diverse. Si suggerisce qui, naturalmente, di trattare separatamente le varie aree di scambio e di relazione commerciale da una parte con gli Usa e dall’altra con la Cina, ma soprattutto qui si suggerisce di attivare una linea, autonoma e stabile, tra l’Italia e la Ue, che dovrebbe essere esplicitamente messa in campo. Lo schermo delle regolazioni Ue, se ben utilizzato, può essere estremamente utile. Per quel che riguarda poi la rete 5G, occorre vedere bene di cosa si tratta, anche spiegando agli amici Usa la realtà dei fatti. La rete 5G cinese di Huawei si è, ormai, sviluppata, almeno in Asia, in stretto rapporto con i clienti finali. In Giappone, in Australia, in tutto il Sud-Est asiatico è ormai leader di mercato ma, soprattutto, ha mostrato una certa porosità informativa.

Vero quindi quello che dicono gli amici americani, ma dalla porosità di una rete ottima e, soprattutto, sviluppata in tutta fretta, non si deduce automaticamente l’interfaccia totale e completa con i Servizi cinesi. E allora cosa dovremmo dire, noi europei, delle continue interferenze sulle n ostre reti di sicurezza da parte di altri “operatori”? Ma non è questo il punto. Occorreva una rete 5G Ue, ma la debolezza della Unione l’ha resa impossibile. Allora, concentriamoci sulle tecnologie di controllo, sulle quali non abbiamo alcun problema. Né tecnico, né politico. I settori di sicurezza di una rete 5G sono principalmente: la sicurezza dedicata ovvero il controllo delle sottoreti o di aree di clienti, sempre nella Rete, poib la sicurezza di roaming tra i cellulari o, comunque, tra elementi operanti in Wi-Fi, poi ancora la possibilità di lanciare autonomamente o anche di difendersi da attacchi tipo DDoS, Denial of Service, sia sulla infrastruttura che su singole microreti, poi ancora i protocolli con sicurezza distribuita, tipo blockchain, e anche la sicurezza per i sistemi operativi, che peraltro il 5G cinese non mostra di avere in modo efficace e, poi, la protezione completa dei dati finali di ogni singolo operatore. Tutto non si può avere, ma molto si può controllare just in time.

Certo, è ovvio che da una rete 5G già completa permette una visione completa dello scambio dei dati in un Paese. Chi lo nega. La “scoperta” dei Servizi Usa è acqua calda. E allora? Una soluzione? Eccola, Israele. Le frequenze 5G saranno allocate nello stato ebraico nel prossimo aprile o maggio, e la rete di Gerusalemme sviluppa ottime applicazioni non tanto per la comunicazione commerciale privata P2P, peer to peer, che comunque va dieci volte più veloce del 4G, ma funziona per le smart car e le smart cities, e vale come ottima base, è proprio quello che vogliamo, per la Internet of Things, qui in Italia. Noi, in Italia, non vogliamo chiaccheiare tanto al telefono, desideriamo una rete 5G che permetta lo sviluppo delle nostre Piccole e Medie Imprese. Si possono impostare, spiegando agli amici americani che non succederà proprio nulla, operazioni che noi faremo da soli non la nostra Rete, ma la la nostra area di controllo totale 5G tutta in Italia, chiunque arrivi a mettere le fibre ottiche. L’Italia ha, comunque, già condotto l’asta per il 5G con un costo, per i privati, di 7,5 miliardi per l’acquisto dei diritti della Rete. Huawei ha vinto, accordandosi con Tim e e Fastweb. Bene. E allora, occorrerà una centrale operativa del controllo 5G, del tutto italiana e autonoma, che controllerà tutto il fascio dei dati sul filo della 5G, che è intrinsecamente molto costosa. Non ci interessa chi ci guadagna, ci interessa la sicurezza dei dati, che avremo, assolutamente. E che sarà trattata, la nostra sicurezza delle Rete 5G, in ogni sua parte tecnica, con gli amici Usa, senza per questo poter divulgare nessun segreto operativo di un qualsiasi altro operatore. Noi, in Italia, siamo già al livello scientificamente piuù alto, per la tutela della sicurezza della Rete, 5G o altro.

Quando altri si dilettavano di scrittura assistita, a Pisa un computer Olivetti scriveva cantate che sembravano scritte da J. S. Bach. Si può, quindi, trattare con grande attenzione e con Washington la realizzazione di una centrale della sicurezza nella Rete, dove si possa avere un livello elevato di entrata dei dati e dei protocolli di sicurezza, e far poi capire agli amici americani che no, non c’è davvero bisogno di farci uscire dalla Nato. Tutto, in questi giorni nervosi, deve essere ricondotto ad una razionalità economica e strategica possibile e operativa. Senza isterie.

Sulle reti di distribuzione elettriche, altro argomento che davvero sta a cuore ai cinesi per i loro investimenti in Italia, dobbiamo pensare che la State Grid cinese vuole, soprattutto, diversificare gli investimenti, in Europa e altrove. E imparare tecnologie da altri. Nel 2018, tanto per dire, gli Investimenti Diretti cinesi si sono direzionati, soprattutto, proprio verso al Ue. Mercato nazionalmente diviso, malgrado tutto, ma i cinesi hanno messo capitali per 12 miliardi, verso la sola Ue, ovvero sei volte di più degli investimenti negli Usa per lo stesso periodo. Qui, la Cina cerca l’efficienza energetica, ben maggiore in Eu che negli Usa, poi vuole l’integrazione tra energie rinnovabili e quelle fossili, che è la chiave delle politiche europee ormai da molti anni, cosa che sappiamo fare bene, e ancora la tecnologia dei sensori di rete, infine la digitalizzazione avanzata delle tecnologie di controllo delle reti energetiche. Pechino è anche interessata alle politiche di armonizzazione tra i vari distributori energetici in un mercato, in linea di massima, libero. Che è, questo, l’obiettivo del sistema cinese, almeno tra oggi e il 2025. Tutto qui.

Niente di strategicamente pericoloso. Anzi. Quindi, per fare bene il sistema 5G, e gestire quindi i notevoli investimenti per la rete a fibre ottiche, ci rivolgeremo a una rete di Paesi legati a Israele, magari Cina compresa, e non alla sola Cina e nemmeno ai soli Usa, che ha già elaborato una rete 5G molto user friendly, che è legata molto alla comunicazione privata e poco, invece, ai sistemi di IoT, Internet of Things e di produzione e controllo, che sono invece quelli che molto interessano a noi. Organizzeremo allora una struttura nazionale, che in parte esiste all’interno della nostra intelligence, per il controllo della rete e dei suoi scambi. Autonoma, ma con “pori” preesistenti, verso i Paesi amici che sostengono il nostro 5G. Poi, svilupperemo, sempre con grande interesse, le relazioni tra la Cina e l’Italia nell’ambito dell’energia elettrica. Sono molto interessanti gli investimenti proposti nel MoU da Pechino, certo, ma sono soprattutto interessanti le operazioni di State Grid in Italia, almeno per quel che riguarda l’innovazione tecnologica delle reti di distribuzione e l’ottimizzazione della produzione. Poi, ancora, per il Porto di Trieste, occorrerà acquisire una nuova area. Probabilmente tra Monfalcone e il confine, che sarà demandata alla distribuzione dei beni e dei prodotti di tutta l’Obor, non solo cinesi, in Ue. Con un sistema di controllo bilaterale dei flussi commerciali che dovrà essere attentamente trattato con gli amici cinesi. E anche con la proposta tecnica, proprio da parte dell’Italia, di nuove regolamentazioni di qualità e di standard produttivi e economici per le importazioni dalla Obor.

Dalla Obor, ripeto, non dalla sola Cina. Con una quota, obbligatoria (lo sappiamo che l’Ue non ci starà, ma ce ne faremo una regione) di imprese italiane o, magari,”comunitarie” che dovranno lavorare nelle infrastrutture portuali. O comunque nella filiera della trasformazione dell’import Obor a Trieste. Niente inganno, quindi, niente tensioni, niente mitologie sulla 5G. Che, con ogni probabilità, sarà in Italia una partnership israeliana.



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