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Via della Seta, parla Joseph Nye: attenzione allo sharp power cinese

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C’era una volta il soft power, il potere discreto della cultura. All’indomani della caduta del muro di Berlino questa espressione coniata dal politologo di Harvard Joseph Nye ha trovato grande fortuna alimentando il mito della globalizzazione, di un mondo senza barriere e multipolare. Un mito che con gli anni ha perso appeal: la globalizzazione economica ha sì frantumato vecchi muri, ma non ha davvero travolto il mondo delle relazioni internazionali così come vaticinato in dozzine di autorevoli saggi. Una nuova corrente di pensiero ha scosso il dibattito accademico occidentale, proponendo una lettura alternativa del XXI secolo: lo sharp power. Gli Stati competono nell’agone internazionale con i mezzi che la globalizzazione ha messo loro a disposizione, il libero commercio, l’informazione via web, gli scambi culturali. Apparentemente innocui, questi strumenti possono facilmente servire piani egemonici. Lo hanno capito anche Stati come Cina e Russia, un tempo chiusi al mondo, oggi decisi a competere con gli Stati Uniti in Asia e in Europa. La Via della Seta, mastodontico piano infrastrutturale promosso da Pechino cui ora l’Italia vorrebbe aderire, è esempio eloquente di questa ambivalenza. “Lo sharp power non è che la guerra informativa, esiste da sempre”. Joseph Nye non nasconde il suo scetticismo. Intervistato in esclusiva da Formiche.net, il padre del soft power, presidente della Trilaterale, spiega perché la sua lettura del mondo è ancora attuale, ma invita a non abbassare la guardia quando si parla di Russia e Cina. Gli investimenti diretti nelle infrastrutture critiche “possono essere uno strumento di sharp power molto efficace”.

Joseph Nye, cos’è lo sharp power e perché questo nome fa arrabbiare cinesi e russi?

“Sharp power” è un sinonimo di “information warfare”, la guerra informativa che esiste da sempre. Durante la Guerra Fredda tanto gli Stati Uniti quanto la Russia hanno usato quest’arma. Il termine è stato inventato dal National Endowment for Democracy (Ned), un think tank americano fondato da Ronald Reagan. È un concetto che ha ovviamente origini occidentali, ma questo non significa, come accusano cinesi e russi, che rispecchi necessariamente un comportamento o un pregiudizio dell’Occidente.

Propaganda, ingerenze negli affari domestici di Stati rivali, colonizzazioni finanziarie sono frutto della globalizzazione o esistevano già prima?

Già negli anni ’30, quando la globalizzazione economica era un lontano miraggio, gli Stati autoritari esportavano la propaganda politica. Lo stesso Adolf Hitler era un maestro nel farlo, e seppe sfruttare al meglio la scoperta tecnologica della radio. Oggi il progresso tecnologico globale e internet permettono di esportare la propaganda al di fuori dei propri confini a basso prezzo e in poco tempo. Perché sia efficace non basta però esportarla: la propaganda deve essere credibile, altrimenti può non attrarre e non generare soft power.

La Nuova Via della Seta di Xi Jinping è spesso citata come caso di sharp power. C’è un progetto politico dietro gli investimenti del Dragone in Eurasia?

One Belt One Road è più uno slogan che un programma politico o un piano infrastrutturale. Con questo termine il governo cinese fa riferimento a un ampio range di progetti, dai porti in Asia e nel Mediterraneo alla ferrovia in Kenya. Molti fra i soggetti interessati cominciano a mostrare resistenze a questi progetti per come il governo cinese li sta gestendo. È il caso dell’acquisizione a basso prezzo dei porti che si affacciano sull’Oceano Indiano, che sembra più una strategia per contenere l’influenza dell’India nella regione piuttosto che un vettore di sviluppo economico.

L’acquisizione dei porti nel Mediterraneo ha suscitato non poche critiche in Europa. È stato notato ad esempio che a seguito della vendita del porto del Pireo ai cinesi di Cosco la Grecia abbia mostrato un insolito allineamento politico con Pechino.

Alcuni di questi investimenti del governo cinese hanno una ratio economica, altri decisamente no. Bisogna saper distinguere di caso in caso e giudicare ponderatamente, perché gli investimenti diretti all’estero possono essere uno strumento di sharp power molto efficace.

Poco più di un anno fa, nell’ottobre 2017, il presidente Xi Jinping ha inserito nella costituzione del Partito Comunista Cinese (Pcc) il solenne compito accrescere “il soft power culturale” della Cina. Che effetto le fece?

Devo dire che rimasi molto sorpreso già nel 2007, quando l’allora presidente Hu Jintao aveva spiegato al 17° congresso del partito che la Cina avrebbe dovuto investire di più nel soft power. Quando Xi Jinping lo ha incastonato nella costituzione la sorpresa è stata ancora più grande. Può essere una strategia vincente per Xi, ma bisogna vedere se saprà metterla in pratica davvero. Sarà un test importante per lui.

Uno dei casi di indebita propaganda politica cinese all’estero citato dai teorici dello sharp power è la rete degli Istituti Confucio, i centri culturali che in centinaia di università nel mondo insegnano il mandarino e la cultura cinese. Sono davvero un pericolo?

Dobbiamo accogliere gli Istituti Confucio quando insegnano la lingua e la cultura cinese in modo imparziale. Se invece interferiscono con la libertà accademica restringendo il criticismo e mettendo veti sugli oratori questi istituti non devono più essere legittimati.

Non solo Cina. Anche la Russia è accusata dall’Occidente di manipolazioni e indebite intromissioni. Oggi il governo italiano dichiara di voler migliorare i rapporti con Mosca e alcuni autorevoli esponenti propongono di bloccare le sanzioni Ue contro Mosca per la violazione degli accordi di Minsk.

Credo sia un errore sospendere o eliminare le sanzioni finché non vediamo un serio miglioramento dell’atteggiamento russo. La Russia ha violato una norma base del sistema disegnato dalle Nazioni Unite dopo il 1945: non puoi prendere il territorio del tuo vicino attraverso l’uso unilaterale della forza. Le sanzioni rinforzano questa norma mostrando che la sua violazione ha un costo.

Esiste un pericolo russo sui social media o si tratta di un’esagerazione?

La Russia ha imparato negli anni ad hackerare i social media e ad usare queste piattaforme come un’arma. Solo rendendo i pubblici ufficiali e le forze di polizia coscienti di queste tecniche russe possiamo vaccinare il pubblico dai loro effetti più pericolosi.

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