Il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico, Michele Geraci, vero macchinatore dietro al percorso che ha portato il presidente Xi Jinping in Italia per firmare il memorandum d’intesa con cui il nostro Paese aderirà al progetto infrastrutturale, economico, commerciale e geopolitico noto come Nuova Via della Seta, ha fatto capire in un’intervista al sito La Sicilia.it che sono previsti investimenti cinesi nell’isola italiana. “È un tema in fase di discussione approfondita. L’Isola ha una posizione attraente perché vicina all’Africa ed è lo snodo ideale dei traffici marittimi che transitano nel Mediterraneo. Da qui si può fare molto e loro ne sono ben consapevoli”.
Geraci è palermitano, e ha organizzato personalmente per Xi un visita nella sua città natale a conclusione della tre giorni italiana. Nella realtà dei fatti il motivo di questo viaggio specifico è piuttosto vago, perché lo stesso sottosegretario non ha dato motivazioni dirette per uno spostamento particolare, ma su queste colonne è stato il presidente dell’Assemblea regionale siciliana in quota Forza Italia, Gianfranco Micciché a ricordare che un fondo di investimento di Shanghai ha già messo gli occhi sul porto di Palermo: “È una cosa seria – dice Micciché –. Quando è stato presentato in una riunione con i presidenti di Regione e Assemblea e il sindaco di Palermo è stato approvato all’unanimità”. Ma aggiunge che per il momento rimane sulla carta, è ancora tutto da costruire”.
Poi, sempre in Sicilia, c’è la questione 5G: il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in questi giorni ha presentato un piano per un’internazionalizzazione del capoluogo siciliano che passa anche attraverso la nuova tecnologia dati, da cui non esclude la partecipazione di società cinesi. Eventualità che l’intelligence americana sconsiglia fortemente; elemento tra quelli pratici che sta creando scompiglio attorno all’annuncio dell’adesione italiana alla Bri.
C’è un elemento che somma la doppia delicatezza, porti più 5G, in Sicilia e che si aggiunge come un punto in più per chi guarda con scetticismo alle penetrazioni cinesi che possono arrivare a cascata dopo l’adesione. I cavi sottomarini. Network strategico su cui la concentrazione della Nato è altissima da diverso tempo, perché sono l’autostrada posata a migliaia di metri sott’acqua su cui viaggia ogni singolo bit delle comunicazioni internet globali. Sono circa 380 cavi in fibra ottica che trasportano il 95 per cento di tutte le comunicazioni via Internet al mondo, attraverso un migliaio di stazioni di arrivo sulle coste.
Uno snodo nevralgico da cui passano tutte le comunicazioni da e per Medio Oriente e Nord Africa si trova già nelle acque italiane davanti alla punta occidentale della Sicilia, da dove poi si collega a Marsiglia. Le città interessate sono Trapani, Mazara del Vallo e Palermo, a largo di cui passa il Flag Europe-Asia, porzione dei ventottomila chilometri del Fiber-Optic Link Around the Globe su cui viaggiano dati dal Regno Unito fino al Giappone (e tutte le tappe intermedie).
Non solo: Telecom Sparkle, del gruppo Telecom Italia, è socia nel consorzio che sta lavorando al Sea-Me-We 5, arteria da 20mila chilometri (24 Terabit per secondo di capacità di trasporto), che unirà la Francia a Singapore, passando per Catania. Il Mediterraneo è un bacino strategico in cui si sono già verificati sabotaggi ai cavi sottomarini: per esempio, nel marzo 2013 le autorità egiziane arrestarono tre uomini sospettati di aver tagliato al largo di Alessandria il cavo Sea-Me-We 4, che collega il Nord Europa al Sud-Est asiatico passando per il Mediterraneo.
L’argomento è caldissimo: i funzionari militari americani da diversi anni (almeno dal 2012, quando uscì il primo rapporto del Congresso che definiva la Huawei una minaccia per la sicurezza nazionale) temono che l’ingresso di Huawei nel settore – sta lavorando a 90 progetti – sia finalizzato a spostare nella fase d’immersione l’interesse cinese per le vie dei dati, che là nel fondo del mare potrebbero posizionare sistemi di spionaggio (o farli attraverso software di gestione nascosti). Ora Washington torna alla carica sull’onda delle preoccupazioni legate al 5G, perché la nuova tecnologia prevede anche la posa di altri cavi su cui potrebbero entrare ditte e interessi cinesi.
A lavorare per Pechino è la Huawei Marine, sussidiaria specializzata con sede nel porto di Tianjin, che sta scalando un mercato finora controllato da tre società: l’americana SubCom, l’Alcatel Submarine Networks finlandese, e la giapponese Nec Corp. La ditta cinese ha completato la posa di un cavo da oltre quattromila chilometri tra Brasile e Camerun a settembre (il progetto è stato cofinanziato dalla statale Ex-im Bank of China e dall’operatore Unicom, anche questo statale), e di recente ha iniziato a lavorare su un cavo lungo più del doppio per collegare Europa, Asia e Africa.
Una Via della Seta sottomarina, parte della Via della Seta digitale che la Cina vuole affiancare alla Bri. Un esempio: la China Construction Bank ha finanziato una cavo da 60 Tb che da Gibuti, dove la Cina ha piantato la prima base militare extraterritoriale, arriverà in Pakistan, a Gwadar, un porto che è stato acquisito dalla Cina nell’ambito del cosiddetto Corridoio Cina-Pakistan, parte della Bri, su cui Pechino ha creato una zona economica speciale e progetterebbe di piazzare una base navale.
I documenti strategici di Pechino segnano l’importanza centrale dei cavi sottomarini per quella che viene chiamata la Digital Silk Road, nonché l’importanza dell’applicazione di Huawei nel settore, anche se la ditta dichiara ufficialmente di non essere collegata ai programmi governativi di Pechino. Un istituto di ricerca interconnesso col ministero dell’Industria e dell’Information Technology cinese, in un altro documento pubblicato a settembre 2018, ha però elogiato l’abilità tecnica di Huawei nella trasmissione di cavi sottomarini e ha detto che la Cina è destinata a diventare “uno dei più importanti centri di comunicazione via cavo sottomarini internazionali nel giro di un decennio o due”.
William Evanina, direttore del Centro nazionale di controspionaggio e sicurezza, ha detto recentemente al Wall Street Journal: “Dato che i cavi sottomarini trasportano la maggior parte dei dati di telecomunicazione del mondo, la salvaguardia di questi cavi rimane una priorità chiave per il governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati”. Washington vuol ricreare un fronte compatto anche in termini sottomarini – dove lo scontro è aperto forse anche da più tempo. Per esempio, a giugno del 2017 l’intelligence australiana ha bloccato un accordo tra le Isole Salomone e la Huawei Marine per posare un cavo che avrebbe dovuto collegarle a Sydney: l’Australia è un paese del 5 Eyes che soffre fortemente la penetrazione cinese.