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Noi e la Cina: se è svolta, dev’essere dichiarata

Non c’è bisogno di farla troppo complicata in materia di Memorandum che l’Italia si appresta a siglare con la Cina in occasione della visita del presidente Xi Jinping che inizia tra pochi giorni.

Si tratta di un atto politico di prima grandezza, che ha nella sua dimensione politica il proprio motivo di esistere, che risponde ad una volontà politica molto precisa di parte cinese e che (probabilmente) incontra una determinazione politica altrettanto esplicita da parte italiana.

La Cina infatti (come da conclusioni dell’ultimo congresso del partito unico) intende consolidare il suo ruolo di leader assoluto del nuovo secolo ed intende farlo attraverso un sistema di relazioni internazionali di “nuovo conio” che vede Pechino al centro della scena, esattamente come Washington lo è stata nella seconda parte del secolo alle nostre spalle e Londra (con Parigi) all’inizio del ‘900.

Per fare questo si muove da protagonista nel suo scacchiere “naturale”, cioè ad Oriente, ma da anni lavora in Africa con imponenti programmi di investimento in infrastrutture e, più recentemente, lo fa anche in Europa e Medio Oriente puntando su commerci e tecnologia.

Non è un caso infatti che proprio i cinesi detengono il più solido know how in materia 5G, cioè la prossima frontiera della trasmissione dati che rivoluzionerà (a breve) la vita di alcuni miliardi di persone.

Risponde perfettamente a questo scopo la Belt Road Initiative, oggetto di una intensa attività istituzionale da parte cinese in questi anni, perché esso è il progetto “concreto” che incarna questa volontà di leadership a dimensione globale.

Chiarito questo, volgiamo lo sguardo al lato italiano. Abbiamo registrato fortissime preoccupazioni americane e notevoli tensioni europee. A Washington pensano tutto il male possibile dell’iniziativa italiana, poiché nessun membro del G7 ha finora siglato un accordo di questo tipo.

A Bruxelles i toni sono diversi, anche perché sui rapporti con la Cina (come su tutti i temi di politica estera) non c’è alcuna capacità Ue di generare una posizione comune.
Però (con un articolo Ansa “ben informato” di questo pomeriggio) Bruxelles ha deciso di battere un colpo, apparentemente capace di gettare acqua sul fuoco.

Ambienti Ue infatti precisano di non esser preoccupati per il Memorandum italo-cinese, per il semplice fatto che nessun Paese può fare accordi commerciali da solo, pena la violazione devastante di regole europee.

Quindi, ragionano a Bruxelles, il governo italiano non può costruirsi regole sue di commercio con la Cina, ma può soltanto compiere un atto politico (che comunque non è poca cosa).

Ed eccoci allora al punto di partenza. Roma sceglie uno spostamento del suo asse tradizionale di riferimento con questo accordo, sposando il nuovo gigante planetario come interlocutore privilegiato.

È, di fatto, una nuova linea di politica estera, diversa da quella classica italiana (filo-occidentale e filo-atlantica) che ci caratterizza dalla fine del Fascismo.

Farebbe bene il governo a dichiararlo con maggiore nettezza, anziché scegliere una linea un po’ codarda come quella che vediamo messa in atto in queste ore.

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