Mentre due terzi del governo italiano siglava i 19 capitoli dell’accordo con la Cina e il vicepremier Matteo Salvini dal palco di Cernobbio faceva sentire tutto il suo dissenso, c’è chi ha scelto la clava dell’ironia sui social per spiegare (e commentare) il memorandum italo-cinese e le sue conseguenze, anche in ottica di coerenza programmatica.
TAV
Guido Crosetto, da pochi giorni non più deputato di Fdi per svolgere a tempo pieno il ruolo di presidente dell’Aiad (la federazione che riunisce le aziende del comparto difesa, aerospazio e sicurezza), ha condensato in due tweet il suo pensiero sulle firme delle ultime ore.
Il primo cinguettio lo ha dedicato all’intreccio fra il caso Tav e gli accordi infrastrutturali fra Roma e Pechino che riguarderanno i porti italiani di Genova e Trieste. “Probabilmente è inutile fare altre manifestazioni SiTav a Torino – ha twittato Crosetto – Ciò che non è riuscito a Salvini è riuscito a Xi: il Governo si è impegnato con i cinesi a fare le infrastrutture ferroviarie per il trasporto veloce di merci in uscita da Trieste e Genova”.
Come dire che la posizione pro Tav del vicepremier e ministro dell’interno, che si è dovuta scontrare con la decisione del premier Conte (e del vicepremier Di Maio) di non bissare il caso Tap, fa il paio con uno schema che va in tutt’altra direzione: infatti uno dei capitoli del memorandum verte proprio la nuova infrastrutturazione per i porti italiani. Un passaggio su cui Washington ha espresso forti preoccupazioni, dal momento che le merci cinesi in arrivo nel Mediterraneo attraverso il canale di Suez guardano agli approdi italiani anche per guadagnare tempo di navigazione rispetto a Rotterdam.
Il colosso pubblico delle costruzioni Cccc (China Communication Construction Company) ha quindi messo le mani avanti per trasformare le infrastrutture ferroviarie presenti e farne, come per il caso specifico di Trieste, l’hub principale per l’interscambio italocinese. E il fatto che chi fino a ieri ha detto no all’alta velocità Torino-Lione oggi sia fautore di un’altra Tav, tarata sul porto friulano, è un altro elemento significativo.
A ciò si aggiunga la contingenza che Pechino sembrerebbe anche fortemente interessata ad una delle basi navali usate dalla Marina americana nelle vicinanze di Aviano, che è al momento la più grande base aerea del Mediterraneo: ulteriore motivo di preoccupazione al di là dell’Atlantico.
DELOCALIZZAZIONE
Altro tema, altro tweet, ma con la costante del piglio ironico (e ficcante). Crosetto dice la sua anche in merito all’annoso capitolo delle delocalizzazioni, un tema particolarmente sentito nell’ultimo lustro di crisi economica e che ha interessato moltissime imprese e anche molti lavoratori italiani. Per avere un’idea di come l’intero dossier sia centrale, anche in chiave elettorale, basti pensare che è stato al centro di specifiche azioni da parte del cosiddetto polo sovranista, ovvero Lega e Fdi, che vi hanno dedicato convegni e iniziative in sede di Europarlamento.
“Gli stessi che hanno fatto un provvedimento che punisce, giustamente e con una logica chiara, chi delocalizza in Romania – ha twittato – ora spingono alla creazione di un fondo pubblico per aiutare chi vuole delocalizzare in Cina. Con la logica politica non riesco a capire. Forse con la psichiatria”.
Il riferimento è all’emissione tramite Cassa depositi e prestiti del primo panda-bond (una primizia da parte di un paese del G7) al fine di sostenere le aziende italiane presenti in Cina o che hanno intenzione di andare in Cina. I fautori della misura la valutano come un’opportunità di consolidare i legami commerciali con Pechino. Altri, tra cui evidentemente Crosetto, ne sottolineano le contraddizioni avendo sullo sfondo lo schema di delocalizzazioni.
Sul punto va registrata l’annunciata intenzione del governo di varare una nuova norma anti-delocalizzazioni che si ispira alla legge francese Florange. Ovvero chi ha intenzione di delocalizzare ha contemporaneamente l’obbligo di reperire un acquirente. Ma in quel lasso di tempo che intercorre tra le due azioni ecco che potrebbe nascere una partecipazione pubblica transitoria per evitare spiacevoli consegunze.
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