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Un B52 Usa sorvola il Mar Cinese: il messaggio degli americani a Pechino che ora cercano sponde europee

Un bombardiere statunitense B-52 Stratofortress ha sorvolato due giorni fa le acque del Mar Cinese Meridionale, il bacino conteso su cui la Cina da anni ha avviato una militarizzazione spinta occupando alcuni degli isolotti che affiorano in mezzo a quelle acque nevralgiche, tagliate dalle rotte commerciali che dal Pacifico vanno verso l’Oceano Indiano.

Il Mar Cinese è considerato da Pechino un dossier strategico, primo per ciò che vale – commercio, ma anche potenzialità in materie prime e soprattutto pesca (per dire: due giorni fa una peschereccio vietnamita si è ribaltato dopo essere stato speronato da una nave cinese mentre pescava nell’area di Discovery Reef, nei pressi delle Paracel, gruppo di isole tra quelle contese e militarizzate da Pechino).

Secondo, non da meno, per ciò che rappresenta. Se la Cina vuol diventare effettivamente una potenza globale, non può arretrare di un centimetro su questo tipo di dossier che si dipanano sul proprio cortile casalingo. E gli americani, che con la Cina hanno ingaggiato un confronto a tutto campo, non mancano di sottolineare con la propria presenza che quelle rotte e quei cieli restano all’interno di una diatriba internazionale delicatissima, nonostante le forzature di Pechino. È un effetto di ridimensionamento di certe ambizioni cinesi che Washington non vuol vedere realizzate.

Il sorvolo del B-52 (un bombardiere in grado di trasportare ordigni nucleari) è un messaggio, come i cosiddetti Fonop, i passaggi di unità militari statunitensi tra le acque del Mar Cinese. Attività che innervosiscono la Cina: Pechino le considera una provocazione, gli americani le usano come segnale per riaffermare la persistenza delle regole del diritto internazionale (compreso quello della libera navigazione, di cui “Fonop” è l’acronimo inglese) sopra rotte su cui i cinesi rivendicano invece completa sovranità.

Questo genere di confronto puntuale inserito in uno schema totale è un elemento piuttosto interessante, che spiega come gli Stati Uniti abbiano intenzione di contrastare la Cina su ognuno i campi possibili. Si passa dal fronte studiato per escludere le aziende cinesi dal business collegato al 5G nei Paesi occidentali, allo scontro sul Commercio (qui, un inciso: le ultime notizie dicono che su questo campo, che sembrava quello in cui si potesse trovare un primo contatto cooperativo, dopo essere diventato il territorio in cui la competizione Washington-Pechino è sfociata apertamente, non ci sono grossi sviluppi e addirittura la visita in Florida del presidente cinese potrebbe saltare e e forse pure l’accordo in discussione tra i due Paesi).

All’interno di questo schema diventa logica la polarizzazione che gli americani hanno creato sulla Cina. Aspetto su cui Washington non ammette troppe varianti da parte degli Stati amici (che in parte si stanno allineando, vedi l’esempio del Canada, sempre restando su quello specchio di mare sorvolato dal B-52).

La postura nel Mar Cinese si specchia su altri argomenti, per esempio le inclinazioni italiane verso Pechino in ambito Obor, dove la Nuova Via della Seta è considerata dagli Stati Uniti (e non solo) come un piano di sviluppo e investimento più geopolitico – d’influenze e potere – che infrastrutturale. Non a caso, ieri la Presidenza della Repubblica italiana ha diffuso un comunicato secco: “Il Consiglio (il Consiglio Supremo di Difesa) ha analizzato i possibili sviluppi di natura strategico-militare in ambito Alleanza Atlantica e Unione Europea e le discendenti implicazioni per il nostro Paese. Le due organizzazioni, garanzia di pace e stabilità, restano il costante riferimento dell’Italia che deve continuare a contribuire ad esse in maniera convinta ed efficace”.

Linee dal valore strategico che servono a mandare un messaggio a Washington, ultimamente irritato per certe eccessive aperture italiane verso la Cina. Evidentemente il Quirinale ha una sensibilità per comprendere che se un alleato è impegnato in forme di confronto globale con un altro Paese, aprire un flirt con quel Paese potrebbe non essere gradito a quell’alleato che tra l’altro rappresenta una dimensione storica della proiezione internazionale italiana.

La preoccupazione americana non è tanto nel contenuto di eventuali memorandum di intesa che Roma potrebbe firmare con Pechino, quanto dall’aspetto simbolico che questi si porterebbero dietro. Washington sembrerebbe perdere pezzi, quindi indebolito, nel suo piano strategico anti-cinese se un alleato importante (un Paese del G7) e storico come l’Italia dovesse compiere scatti incontrollati verso Oriente.

Gli americani sulla Cina hanno un ingaggio completo e lo stesso gradirebbero dai loro partner. Un altro dei dossier sensibili in cui emergono queste forme di confronto puntuale con ortogonalità globale (così come emergono alcune distanze all’interno del sistema atlantico di relazioni e alleanze), è quello relativo a Taiwan. Altro tema cruciale per la Cina sempre per quel discorso di proiezione globale. L’amministrazione Trump ha notevolmente aumentato il supporto a quella che la Cina considera una provincia ribelle e contro cui (anche per effetto consequenziale all’avvicinamento americano) il presidente Xi Jinping ha alzato il livello della retorica fino ad arrivare, qualche mese fa, a dichiarare di essere pronto anche a “non escludere l’uso della forza“.

Ieri Taipei ha presentato formalmente la richiesta per ricevere dagli Stati Uniti caccia da combattimento per “contrastare le attuali minacce nemiche”, ha detto il vice ministro della Difesa sottintendendo come nemico la Cina; in conferenza stampa il direttore della pianificazione strategica del ministero taiwanese ha detto che i jet in questione potrebbero essere di diversi generi, dagli F-15, F-18 e F-16 fino agli F-35 (i velivoli all’avanguardia tecnologica del settore). Pechino protesta, Washington (dove a inizio febbraio un gruppo di bipartisan di congressisti ha chiesto alla Speaker della Camera di invitare la presidente taiwanese a Capitol Hill) cerca sponde tra i Paesi amici anche su questo dossier di contrasto alla Cina.

 

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