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Il ponte tra Cina e Vaticano. Il racconto di un’impresa durata quasi mezzo secolo

coronavirus, Li Wenliang

L’annuncio finale ha dato il quadro del rilievo della serata e del momento: nelle prossime settimane proprio a Civiltà Cattolica esperti cinesi e americani si confronteranno sul tema importantissimo dell’intelligenza artificiale. Ma come si è arrivati sin qui? Con ogni probabilità l’unico esponente della Curia romana che poteva ricostruire la storia del lungo, difficilissimo ma ora fruttuoso dialogo tra Santa Sede e Cina è monsignor Claudio Maria Celli, così era ovvio che la sua presenza alla presentazione del volume curato da padre Antonio Spadaro “La Chiesa in Cina. Un futuro da scrivere” sarebbe stata un evento nell’evento, peraltro organizzato con assoluto tempismo a poche ore dalla conclusione della visita del presidente Xi nel nostro Paese.

Già il fatto che, aprendo l’incontro, lo stesso padre Spadaro abbia ricordato come La Civiltà Cattolica abbia dedicato negli ultimi 36 mesi alla Cina 25 articoli ha consentito di rendersi conto dell’importanza attribuita dalla Santa Sede al capitolo Cina. Non si sbaglia parlando di una delle priorità ecclesiali, o sostenendo che lo stesso Papa Francesco lo ha lasciato chiaramente intendere. Ma questo non accade soltanto da 36 mesi, e l’intervento di monsignor Claudio Maria Celli ha ricostruito il cammino compiuto dall’inizio degli Ottanta. Così la presentazione del libro di padre Spadaro è divenuta l’occasione per capire dove si è giunti perché ha offerto la rara opportunità di sentir raccontare da dove si è partiti.

Diplomatico di lungo corso, terminato il suo servizio in Argentina nel 1982 monsignor Celli fu incaricato dalla Segreteria di Stato vaticana di occuparsi di Cina. Il suo racconto è partito dalla scoperta della messe di lettere che arrivavano da vescovi di quel paese lontanissimo, tutte scritte però in un latino “scolastico ma buono”. Erano scritti brevi, a volte di poche righe, che raccontavano una situazione sempre difficile, con tante sofferenze. E proprio tornando a quelle lettere monsignor Celli ha ricordato l’emergere di un problema forse inatteso, di certo cruciale: quello dei vescovi ordinati in modo illegittimo, cioè senza l’autorizzazione pontificia e il loro desiderio di essere riconosciuti dal successore di Pietro.

È interessante pensare che già decenni fa questi vescovi ordinati in modo illegittimo avvertissero l’esigenza di una piena comunione con il vescovo di Roma. Tutto questo portava in evidenza un fatto rilevante: più che una Chiesa fedele a Roma contrapposta a una Chiesa fedele al regime di Pechino emergeva dunque un’esigenza importante e molto significativa: quella di essere veri cattolici e veri cinesi. Oggi il percorso sembra essere arrivato a una svolta storica, visto che solo adesso, dopo il recente accordo provvisorio tra Cina e Vaticano, tutti i vescovi cattolici cinesi sono in comunione con il vescovo di Roma. Ma quella richiesta evidenziava questa necessità tanto profonda quanto complessa, che forse il racconto non sempre ha saputo sottolineare e comprendere.

Il rapporto, le relazioni, l’incontro, la conoscenza con le autorità di Pechino non è stato semplice, “siamo stati entrambi dogmatici”, ha detto monsignor Celli, dopo aver ricordato i primissimi incontri con la diplomazia di Pechino: segnati da tensioni e difficoltà palpabili, evidenti. Ascoltare descrivere il clima di quei suoi colloqui ha consentito di cogliere l’importanza della costruzione di un ponte tra la Cina e il Vaticano: un lavoro lento, faticoso, difficile. Ma proprio questo racconto ha fatto emergere, ricordando il clima di allora, quanto tutto ciò sia stato prezioso, indispensabile per un mondo in cui la Cina ha progressivamente conquistato un ruolo di grande potenza.

L’epoca della globalizzazione ha reso questa comprensione ancor più indispensabile per chiunque non si illudesse che la globalizzazione potesse essere un’occidentalizzazione del mondo: e la globalizzazione oggi non può rinunciare alla Cina né prescindere dalla Cina. Ma farlo da interlocutori che trovano un linguaggio comune è diverso, per tutti. Monsignor Celli non ne ha parlato, ma inquadrato così diventa più chiaro il valore profondo della scelta cinese di rinunciare in via di principio alla “totalità” del Potere: riconoscere che il capo della Chiesa in Cina è il vescovo di Roma vuol dire questo, e questo è un fatto epocale.

La ricostruzione storica di monsignor Celli ha fatto rivivere gli anni di Giovanni Paolo II, che seguiva personalmente le comunità cattoliche cinesi e cercava di stabilire contatti con le autorità cinesi. “Sul piano ecclesiale la Santa Sede – ha evidenziato – ha seguito tre piste: il sostegno alle comunità ecclesiali clandestine che soffrivano per la fedeltà a Pietro, la ricerca della comunione con i vescovi illeciti ma che cercavano contatti con la Santa Sede, il sostegno ai vescovi che uscivano dalla Cina per vari motivi”. Due i particolari su Giovanni Paolo II svelati dal diplomatico, entrambi assai significativi: il primo riguarda la forza del desiderio di Karol Wojtyla di recarsi a Pechino: sebbene costretto sulla sedia rotella infatti gli chiedeva se un viaggio in Cina sarebbe stato possibile. L’altro particolare citato è stato l’incontro con un vescovo cinese, che uscì dal Paese per motivi di salute: per quanto le sue condizioni evidentemente non lo consentissero, lui pretese di entrare sulle sue gambe, senza alcun ausilio, nello studio papale, dove Giovanni Paolo II lo accolse dicendo: “Grazie per quello che fa per Cristo e per la Chiesa”.

Il racconto ha quindi portato alla famosa lettera ai cinesi di papa Benedetto e ora alla novità del carisma di Francesco, che si è trasformato in un supporto concreto capace di dare slancio al dialogo, arrivando all’Accordo provvisorio. “Si è accresciuta, ha detto monsignor Celli, la fiducia reciproca”. Il cammino sarà ancora lungo ma può essere fruttuoso solo se seguiterà a seguire due bussole: il benessere della Chiesa in Cina e il bene di tutti i cinesi.

Al termine del suo discorso ciò che è rimasto più di tutto delle sue parole è soprattutto quel sorprendente ricordo della sofferenza dei vescovi illegittimi, il loro desiderio di divenire legittimi, che non si spiega immaginando “buoni e cattivi”, ma solo capendo fino in fondo quell’esigenza, citata più volte, di essere veri cinesi e veri cattolici.

Il discorso del preposito generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa, ha offerto diversi spunti, e forse tra i tanti il punto più innovativo ha riguardato l’analisi del passaggio da un cattolicesimo contadino a un cattolicesimo cittadino. Ma ciò su cui si è soffermato di più chi fa cronaca è stato il passaggio sul valore della riconciliazione, di cui padre Sosa ha parlato anche riferendosi alla Chiesa in Cina, a lungo divisa tra patriottica e clandestina: “Ricostruire la fiducia porta amicizia. La riconciliazione all’interno della Chiesa sarà un processo lungo, ma potrà risanare le ferite. Ma è necessario anche crescere nel discernimento. La Chiesa cinese deve cambiare molto, una vera metanoia”.

In conclusione è intervenuto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha dedicato gran parte del suo intervento a una minuziosa illustrazione degli argomenti trattati dai vari saggi contenuti nel volume. Accennando poi alla recente visita del presidente Xi, il presidente Conte ha affermato che il suo valore è stato soprattutto commerciale ed ha sostenuto che l’Italia è apprezzata perché non ha mire egemoniche e crede nel multilateralismo. Quindi ha svelato di aver chiesto a Xi più impegno per l’ambiente, ma non ha detto quale sia stata la risposta.

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