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L’Italia è ferma al palo. Anche Confindustria gela il governo, crescita a zero

Non che qualcuno si aspettasse buone notizie oggi dal Centro studi di Confindustria. Ma quanto affermato questa mattina dagli esperti di Viale dell’Astronomia, forse va oltre le aspettative. Perché almeno che non si voglia essere un po’ sognatori, è difficile trovare qualcosa di buono nelle 130 pagine del rapporto presentato questa mattina dal direttore del Csc, Andrea Montanino. Tutto parte da un presupposto: l’Italia e la sua economia sono finite in una trappola mortale, accerchiate da variabili che nel tempo sono diventata certezze. E le certezze alla fine, per dirla con le parole del Csc, hanno letteralmente “ipotecato” i nostri conti. Per uscire dal guado serve la terapia d’urto, l’aspririna non basta più.

L’OTTIMISMO DI CONTE, I NUMERI DEL CSC

Il 2019 non sarà quell’anno bellissimo che il premier Giuseppe Conte aveva profetizzato pochi mesi fa per almeno tre ragioni. Primo, il Pil non cresce, dunque non c’è nuova ricchezza creata, ma si vive di risparmi. Secondo, il deficit salirà ancora, si spenderà più di quanto si incassa e questo spaventerà ulteriormente chi ci presta 400 miliardi di euro all’anno sottoscrivendo il nostro debito pubblico. Terzo, reddito di cittadinanza e quota cento sosterranno sì la domanda, ma per poco.

ZERO COME PIL

Se c’è un minimo comune denominatore nel rapporto sull’economia stilato da Confindustria, quello è zero. Quest’anno il nostro Pil non crescerà, mentre nel 2020 registrerà una crescita dello 0,4%. Quello che colpisce è però il gap tra la stima di ottobre e quella odierna. Cinque mesi fa gli industriali si aspettavano una crescita dello 0,9%, mentre oggi si è scesi allo 0,0%. Cioè, per farla breve, in cinque mesi l’Italia ha perso nove decimi di Pil, un’enormità. D’altronde, scrive Confindustria, è tutto fermo: il lavoro, i consumi, gli investimenti privati, che sono addirittura in negativo dopo anni di crescita, quelli pubblici. Solo un’espansione della domanda estera potrà salvarci dalla recessione. Ma si può vivere solo di export?

LA BOMBA DEL DEFICIT

Il secondo problema riguarda il deficit, che per l’Europa del post rigore alla tedesca rappresenta ancora il male assoluto. L’Italia aveva patteggiato a dicembre un disavanzo al 2%, sul quale aveva costruito la prima manovra colorata di gialloverde. Bene, a tre mesi da quell’accordo, Confindustria dice che il nostro disavanzo salirà al 2,6% a fine anno (nel Def che verrà approvato ad aprile, tanto per darsi una grandezza del problema, il disavanzo verrà fissato al 2,4%). Questo vuol dire che già oggi i patti con l’Ue sono stati ampiamente disattesi. Il vero guaio è però la fiducia che un Paese traspette ai mercati. Con un debito pubblico di 2.300 miliardi e passa, è impensabile poter portare avanti misure cicliche senza fare Pil e solo a colpi di deficit. A fine anno l’Italia dovrà collocare poco meno di 400 miliardi di debito e se le cose non dovessero migliorare sarà obbligata ad alzare la posta per chi compra, cioè gli interessi. E dunque lo spread.

RDC E QUOTA 100 A IMPATTO ZERO

La terza osservazione su cui si basa l’analisi di Confindustria riguarda del due misure bandiera di Lega e Cinque Stelle. Attenzione, perché il passaggio è delicato. L’avvio di Reddito di cittadinanza e Quota 100 secondo gli industriali daranno man forte alla nostra crescita, dunque l’effetto propulsore c’è. Ma, e qui è il rovescio della medaglia, “tali misure annunciate nel 2018 hanno contribuito al rialzo dei tassi sovrani e al calo della fiducia (degli investitori esteri, ndr), con un impatto sulla crescita”. Tradotto, i maggiori costi che il Paese ha dovuto sostenere per convincere i sottoscrittori esteri a comprare il nostro debito, hanno compensato, annullandola, la spinta al Pil.

LA TRAPPOLA DELL’IVA

L’altro grande buco nero, oltre a Pil e deficit, si chiama Iva. Il governo ha promesso di evitare l’aumento dell’imposta, che tra il 2019 e il 2020 vale circa 52 miliardi di euro. Non disinnescare le clausole inserite in manovra, vorrebbe dire avere un’Iva al 26,5% entro la fine del prossimo anno, seconda solo all’Ungheria (che però ha un’Ires, l’imposta sui redditi societari, molto bassa e competitiva). L’alternativa è trovare ora e subito 32 miliardi di euro, ma dal momento che la crescita non c’è e i tagli alla spesa non sono nemmeno iniziati, l’unico modo sarebbe nuovamente il ricorso al deficit, che in questo modo, secondo Confindustria, il disavanzo salirebbe al 3,5%, un punto e mezzo oltre il 2% pattuito con l’Ue e due sopra i parametri del Patto di Stabilità. Insomma, o l’Iva o un deficit completamente fuori controllo, con le conseguenze di cui si è detto sopra.

DIO SALVI L’EXPORT

Un salvagente per evitare lo spettro della Grecia, ci sarebbe. Le esportazioni, da una ventina di anni asso nella manica della nostra economia. Confindustria spera che un ritorno delle vendite all’estero, anche in piena era protezionista, possa compensare la crescita zero e i conti sballati. Ma anche qui ci sono dei passaggi da rispettare. Per esempio, è necessario un accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina che riporti gli scambi globali a un regime di libero mercato puro. E poi, ben venga la Via della Seta, che può consentire, dice il Csc, una crescita del made in Italy nel Dragone. Adesso che i numeri sono sul tavolo, che cosa farà il governo nel prossimo Def?

 



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