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De Vito, l’inferno dantesco e lo Statuto dei 5 Stelle

Quel misto di rabbia e di stupore che ha accompagnato l’arresto per corruzione di Marcello De Vito è del tutto comprensibile. A poco più di due mesi da quell’elezione, che potrebbe segnare l’inizio di una nuova storia, i 5 Stelle si trovano a fare i conti con il parto principale delle loro angoscie. Il fantasma di quella corruzione che si voleva sconfiggere al grido di “onestà, onestà, onestà” e che invece sta fagocitando il cuore stesso del Movimento. In quella stessa Capitale che ne ha segnato l’ascesa (si vedrà se “resistibile” o meno) verso lidi molto più impegnativi, come quelli del governo nazionale.

Un danno incalcolabile. Tanto più se si pensa al film delle vicende romane: segnate dall’andirivieni di assessori, capi di gabinetto, fiduciari del sindaco, consulenti, dirigenti della macchina amministrativa ed amici del cuore. Tante piccole formiche destinate a ruotare intorno ad un “cerchio magico”, in parte diretto dall’esterno, fino alla sua improvvisa implosione. O quella sponda occulta rappresentata da quei poteri forti che, da sempre, hanno segnato i destini della città eterna. Che i 5 stelle volevano scacciare dal Tempio. Ma che, invece, non solo hanno continuato ad operare, ma sorriso compiacenti, mentre De Vito, nei suoi infuocati comizi, si vestiva con l’abito del Savonarola.

Fossimo ai tempi di Dante Alighieri, non sarebbe facile scegliere per De Vito il girone in cui collocare la sua anima. Sicuramente nelle Malebolge. In quell’ottavo cerchio in cui sono collocati i barattieri: coloro che trassero profitti illeciti dalle loro cariche pubbliche. E che oggi si chiama “traffico di influenza”: uno dei reati attribuiti al presidente dell’Assemblea capitolina. Sprofondati nella pece, erano continuamente arpionati dai diavoli, per impedire loro di sollevare la testa.

Ma De Vito potrebbe anche essere confinato nell’ultimo cerchio: l’immenso lago di ghiaccio, detto “Cocito”. Con il gelo continuamente alimentato dalle ali di Lucifero. Qui sono puniti i traditori nei confronti di chi si è fidato. Freddi i loro cuori nell’ordire il misfatto contro i propri simili. Fossero i fratelli (prima zona: Canea), la propria città (seconda zona: Antenora), i propri ospiti (terza zona: Tolomea) o i propri benefattori (quarta zona: Giudecca). In tutte e quattro le zone, i peccatori sono immersi nel ghiaccio, varia solo la posizione del corpo. Che può essere con la testa all’ingiù, con il viso all’insù oppure di traverso. Forse a De Vito sarebbe toccato la zona di Antenora, avendo tradito, come amministratore, soprattutto la propria città. Scelta comunque difficile, considerate le altre specifiche.

Ed invece se l’è cavata con la semplice espulsione dal Movimento, ferma la sua possibilità di difendersi, sul piano giudiziario, ma solo a “chilometri di distanza”, come ripete Luigi Di Maio, dal cuore e dall’anima dei 5 Stelle. Ed è qui che nasce un problema di non poco conto. Di Maio poteva farlo? Era nei suoi poteri procedere in violazione delle regole di uno Statuto, approvato per di più da poco tempo? Interrogativi che hanno un’immediata valenza istituzionale. De Vito, infatti, non si è dimesso né da consigliere comunale, né da presidente dell’Assemblea capitolina. È dovuto intervenire il prefetto di Roma, Paola Basilone, che lo ha sospeso da ogni carica “in ragione della applicazione della misura cautelare della custodia in carcere”. Ma sospendere non significa rendere vacante la relativa sede. Non sarà, quindi, facile sostituirlo con la celerità che vorrebbe lo stesso Di Maio.

Ma per tornare allo statuto del Movimento 5 stelle. L’articolo 11 descrive minuziosamente “il procedimento per l’irrogazione di sanzioni disciplinari”. Tra le quali è prevista (lettera d) anche l’espulsione. Si inizia con la comunicazione dell’apertura di un procedimento da parte dei probiviri. Nei dieci giorni successivi, il diretto interessato può trasmettere proprie memorie difensive. Nel termine dei successivi 90 giorni il Collegio dei probiviri può emettere la relativa sentenza o chiedere ulteriore documenti. Una volta assunta la decisione, essa deve essere comunque comunicata entro i successivi 5 giorni.

Contro le eventuali decisioni dei probiviri è ammesso il ricorso al Comitato di garanzia: organo di secondo grado. Che deve esprimersi nei successivi 10 giorni e la relativa sentenza trasmessa all’interessato nei successivi 5. Al tempo stesso copia della medesima deve essere inviata al Garante (al secolo Beppe Grillo). Quest’ultimo, nel successivo termine di 5 giorni, può indire una consultazione in rete per sottoporre agli iscritti la proposta di annullamento o riforma della decisione assunta dal Comitato stesso. Nelle more di questa complessa procedura, tuttavia, – afferma testualmente lo Statuto – “può essere disposta la sospensione cautelare che estende i propri effetti anche nei riguardi di eventuali candidature alle quali il candidato sia stato nel mentre ammesso.”

Insomma: un insieme di regole fortemente strutturate che Di Maio, ha cancellato con un tratto di penna. Ne aveva la facoltà? Questione tutt’altro che astratta, ma strettamente legata alla vicenda giudiziaria del Presidente dell’Assemblea capitolina. Per il quale, nonostante l’arresto, vale il principio della presunzione d’innocemza. Che potrà, se del caso, fatto valere anche nei confronti del Capo politico dei 5 Stelle. Problemi del domani. Intanto, oggi, un nuovo avviso di garanzia é stato notificato a Daniele Frongia, ex vice sindaco e grande amico di Virginia Raggi. Attualmente assessore allo sport: carica dalla quale si è immediatamente sospeso. Che farà Di Maio? Espellerà anche lui?

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