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Perché a Erdogan conviene stare nel club di Bruxelles con un piede solo

gezi park

Sulla carta, tecnicamente, con il voto di ieri a Strasburgo, la Ue ha dato alla Turchia un messaggio chiaro: il presidente Recep Tayyip Erdogan, sui diritti umani, ha passato la linea rossa e i negoziati vanno sospesi. La mozione è stata presentata dalla Commissione Affari Esteri e si basa sul rapporto annuale sui progressi del Paese più duro di sempre. Peccato che la decisione che la plenaria ha approvato non sia vincolante per la Commissione Europea, che con Ankara continuerà a tenere lo stesso atteggiamento ambiguo.

Una soluzione significativa, ma inefficace, che alla fine accontenta sia Bruxelles sia la stessa Turchia per i propri calcoli elettorali. Come noto a tutti, a fine maggio si voterà per il rinnovo del Parlamento Europeo e molti partiti con questo voto cercano di alienarsi le preferenze dei più conservatori o di chi vorrebbe dare all’Unione una svolta nelle sue politiche, anche per quanto riguarda il fenomeno migratorio.

Ma in realtà questo voto, rappresenta un vantaggio anche per Ankara. Il ministero per gli Affari esteri aveva iniziato a mettere in guardia le istituzioni europee già dal mese scorso, avvisando che, in caso di voto favorevole alla mozione della Commissione Esteri, ci sarebbero state conseguenze. Ma in una Turchia in piena campagna elettorale per le elezioni regionali di fine marzo, che, con il parlamento demansionato dalla riforma costituzionale degli scorsi anni, hanno il sapore delle politiche, il voto di Strasburgo viene usato solo come un mezzo per compattare l’elettorato più conservatore ed euroscettico attorno al presidente Recep Tayyip Erdogan.

Per una strana ironia della sorte, il leader islamico, può ringraziare Bruxelles non solo per il lassimo e la mancanza di una linea comune con i quali ha gestito il capitolo Turchia fino a questo momento, ma anche di avergli fornito un’altra arma per la campagna elettorale e soprattutto per quelli che sono i problemi più urgenti del Paese, prima fra tutti la crescita economica che sta attraversando un momento di crisi.

Anche con questo voto, quindi, non cambia assolutamente nulla. La Ue non vuole la Turchia e continua a temporeggiare per allungare i tempi dei negoziati all’infinito. Ma dall’altra parte, non ce lo dimentichiamo, è Erdogan per primo che non vuole e probabilmente non ha mai voluto entrare in Ue.

Stare nel club di Bruxelles con un piede solo apre alla Turchia l’accesso a fondi, ancora per il momento, che altrimenti non potrebbe ottenere e a vantaggi commerciali, dei quali però privilegia anche chi con Ankara fa affari e in Ue sono tanti. Con l’altro piede, però, Erdogan resta volentieri fuori, a tessere alleanze che alla Ue possono solo dare fastidio e a complicare gli equilibri di una regione che per l’Europa è vitale.


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