Viviamo un’epoca inedita in Occidente: il baricentro delle relazioni internazionali e delle grandi dinamiche geopolitiche non è più saldamente nel cuore dell’Europa e nemmeno tra le due sponde dell’Atlantico, come accaduto per secoli. Esiste ormai una politica estera che prescinde dall’Occidente, come la politica di potenza cinese in Asia meridionale o il nuovo fortissimo attivismo di Pechino in Africa, oppure come l’influenza russa in Asia Centrale o le turbolenze del Medio Oriente. Contemporaneamente, gli Stati Uniti appaiono sempre più tentati da uno splendido isolamento nel loro vasto e per tanti versi inesplorato continente, indotti a questa scelta da un elettorato a maggioranza sempre meno bianca ed europea e sempre più latina.
Le insofferenze dell’Amministrazione Trump nei confronti degli alleati Nato, finora reticenti a investimenti militari pari a quelli americani, non sono solo una provocazione di un presidente stravagante: sono un campanello d’allarme a cui noi europei dovremmo prestare molta attenzione. Tramontato ormai il mondo “eurocentrico”, come possiamo restare centrali? Chi garantirà la sicurezza dei cittadini italiani ed europei? Rispondere a questa domanda è una scelta di maturità dei governi del Vecchio Continente e delle istituzioni comunitarie. L’Unione Europea deve svegliarsi dal suo torpore brussellese, guardare oltre la dimensione burocratica delle direttive e delle regole del mercato comune, per diventare a tutti gli effetti una potenza politico-militare capace di proteggere i suoi cinquecento milioni di cittadini, in termini di sicurezza, di benessere e di libertà. Non godiamo più di alcuna rendita di posizione e dovremo saperci guadagnare il nostro ruolo nel mondo, a cominciare da un nuovo rapporto con gli Stati Uniti d’America.
La Nato del futuro non potrà più essere – semplificando – il cappello sotto il quale l’America protegge l’Europa, ma può e deve essere lo strumento attraverso cui i paesi del mondo libero si proteggono l’un l’altro. L’Europa non è più “la terra dei nonni” per cui gli americani sono pronti a combattere e deve dunque saper essere un alleato necessario ma mai scontato per Washington. Un’Europa più autosufficiente in termini di sicurezza strategica potrà più efficacemente sostenere la stabilizzazione dell’Africa e dunque ridurre la pressione migratoria verso la sponda settentrionale del Mediterraneo. Per l’Italia questa è una partita essenziale. Siamo, ormai da anni, uno dei paesi che più fornisce truppe e mezzi alle missioni di pace nel mondo, siamo la frontiera geografica, sociale e politica dell’Occidente ma siamo anche il paese che più ha pagato – negli ultimi anni – il prezzo della debolezza atlantica e della mancanza di un vero coordinamento della politica di sicurezza dei paesi europei. Sulla Libia, per fare un esempio, ha prevalso l’agenda di breve periodo di un presidente francese (mi riferisco al rovesciamento di Gheddafi da parte di Sarkozy), non gli interessi di medio-lungo periodo di tutti noi europei.
La sfida a cui siamo dunque chiamati è dunque quella di un nuovo “europeismo maturo”. L’Unione Europea gode oggi di uno scarso consenso popolare perché non ha saputo offrire ai cittadini quella domanda di protezione e sovranità dei cittadini, in un mondo in tumulto e in rapido cambiamento, limitandosi a essere un grande mercato unico e un’unione monetaria. La soluzione, però, non è il ritorno alle piccole nazioni tra loro isolate e in perenne conflitto (come preconizzano le ricette di un pifferaio come Steve Bannon), ma fare un salto di qualità in avanti nell’ambito in cui oggi più c’è bisogno di protezione e sovranità europea: il controllo delle frontiere esterne, la sicurezza contro il terrorismo, la salvaguardia della nostra “way of life”. Una nuova Europa che possa così dialogare con l’America da pari a pari, appunto da alleato necessario ma non scontato.
Mara Carfagna, Vice Presidente della Camera
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