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Lo schiaffo di Macron all’Italia. Così Ue e Roma si dividono sulla Via della Seta

macron

Il 26 marzo, il presidente francese, Emmanuel Macron, ospiterà un incontro di altissimo livello con il cinese Xi Jinping a cui parteciperanno il capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker e la cancelliere tedesca Angela Merkel. E già questo basta per capire il contesto di solennità europeista che l’appuntamento assume, nonostante un vertice ufficiale Cina-Ue sia in programma per il 9 aprile (Juncker definisce l’incontro a quattro una riunione preparatoria, convocata tra l’altro mentre si stava svolgendo il Consiglio europeo, prendendo Roma in contropiede).

Al vertice ufficiale di aprile, Bruxelles chiederà a Pechino un accordo sugli investimenti, un altro separato per permettere un accesso più equilibrato ai rispettivi mercati e negli appalti pubblici (per questo la tempistica è stratta: luglio 2019), e poi cercherà un’intesa per le tante limitazioni imposte dai cinesi sul settore agroalimentare (pratiche spesso capziose che hanno l’obiettivo di bloccare l’importazione di beni europei, come ha spiegato Coldiretti per esempio), e soprattutto l’Europa ha intenzione di porre paletti alle attività espansionistiche connesse con la Belt and Road Initiative. Martedì Macron, Merkel e Juncker cercheranno un coordinamento preliminare con Xi.

I funzionari che due giorni fa hanno anticipato l’appuntamento macroniano alla Reuters hanno spiegato che si parlerà di clima, commercio e relazioni Cina-Ue in generale. Poi dicono che il presidente francese (ma forse non solo lui in quei quattro) “ha voluto” il meeting perché chiede “un approccio dell’Unione più coordinato alla Cina, piuttosto che paesi membri che si concentrano sulle relazioni bilaterali”. “Non si tratta di un formato permanente – ha poi precisato Merkel – ma di un segno delle strette relazioni tra Francia e Germania, un appuntamento che serve a parlare delle sfide multilaterali, in cui era giusto coinvolgere anche la Commissione”.

Non è difficile leggere dietro a queste posizioni frecciate all’Italia, che in questi giorni ha invece organizzato una visita di stato per Xi dal sapore strettamente (e pericolosamente, dicono i critici) bilaterale. All’interno degli incontri romani, il governo gialloverde dovrebbe mettere la firma su un memorandum con cui aderire formalmente all’infrastruttura geopolitica cinese Belt & Road, decisione contro cui si è mossa l’Europa – chiedendo all’Italia di evitare passi in avanti che possano farla scivolare troppo verso la Cina – e gli Stati Uniti – che stanno progettando un blocco congiunto anti-cinese e vedono nell’adesione una sorta di tradimento verso l’amicizia storica e contro il fronte atlantista in cui l’Italia s’è sempre posizionata.

Parigi è stata piuttosto dura sull’avvicinamento italiano alla Cina: giorni fa, in un articolo firmato da Francesco Maselli, il Foglio ha pubblicato stralci di un discorso del ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire in cui dice: “Ovunque in Europa l’ascesa dei nazionalismi e dei populismi minaccia il progetto europeo. E mentre l’Europa si divide, un’altra parte del mondo si riunisce dietro le Nuove vie della Seta […] l’Italia preferisce aderire a queste Vie piuttosto che lottare per il progetto europeo”.

Critiche dirette, piuttosto evidenti, diventate pubbliche ieri, attraverso le parole di Macron: l’Italia ha preso una strada che riteniamo “sbagliata”, “lavorare come piccoli club con Pechino non è una buona scelta, sono comportamenti naif che ledono il coordinamento della Ue”.

La Francia è soltanto uno dei paesi europei che si è impegnato per dissuadere Roma sulla Cina. Il Consiglio europeo, in corso in questi stessi giorni, ha segnato come fondamentale la necessità che l’Ue si protegga da Pechino, e anche per questo il premier italiano, Giuseppe Conte, è stato oggetto di un’offensiva diplomatica passata sotto la forma amichevole del “due chiacchiere davanti a un birra” a un tavolo del bar dell’hotel Amigo di Bruxelles (per una quota proprietà della Cdp), dove dormivano anche Merkel e Macron. I tre hanno tirato lungo fino alle due di notte, con l’asse franco-tedesco che argomentava con l’italiano qualcosa essenzialmente sintetizzabile in un “stai sbagliando con la Cina”, dicono le fonti dal posto.

Preoccupazioni collegate a quelle americane: c’è il rischio di penetrazione eccessiva dei cinesi nel sistema italiano e dunque in Europa, dicono Washington e Bruxelles; Pechino potrebbe esercitare pressioni politiche su Roma. Un esempio concreto, recente e da collegare col Consiglio europeo: pochi giorni fa si è votato per la costruzione di un sistema di protezione più rigido riguardo agli investimenti stranieri. Con un occhio particolare alla Cina.

L’Italia, promotrice con Francia e Germania nel 2017, adesso si tira indietro, e non si è astenuta sul voto per dare il via all’istituzione – che è stato invece uno degli argomenti centrali del Consiglio, con l’Ue che considera la Cina “un rivale sistemico” secondo l’ultima recentissima revisione della strategia cinese della Commissione, e il presidente Donald Tusk che al termine delle discussioni l’Ue ha detto che si lavorerà per “rafforzare la capacità europea di affrontare il furto di tecnologie e le minacce alla cybersicurezza”, mentre l’organo di indirizzo politico dell’Ue (composto dai capi di stato e di governo dei vari Paesi) attende “con impazienza la raccomandazione della Commissione Ue sulla sicurezza delle reti 5G”.

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