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La risposta di Facebook alle interferenze estere in vista delle europee

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Bruxelles intende attuare una “stretta” alle fake news in vista delle elezioni europee di maggio. E, per farlo, ha chiamato a raccolta da mesi le principali piattaforme social, invitandole a fare di più per limitare la circolazione di contenuti a carattere disinformativo. Tra queste c’è Facebook, che dopo una serie di numerosi casi che l’hanno vista utilizzata per rastrellare dati degli utenti (il più noto è Cambridge Analytica) ha deciso di attivare una nuova serie di strumenti per limitare le interferenze estere.

LE MISURE DI MENLO PARK

Spina dorsale di queste misure è il rafforzamento delle regole sulle pubblicità politiche, dal momento che il social network è ormai ampiamente usato da ogni partito per promuovere i propri programmi e esponenti (che la utilizzano anche in proprio).

In un post firmato dal vicepresidente Richard Allan, la compagnia (proprietaria anche di Instagram e della app di messaggistica WhatsApp) ha comunicato voler perseguire due obiettivi: evitare che le inserzioni siano usate da Paesi esteri per interferire nelle elezioni – come accaduto secondo gli analisti e l’intelligence americana con i post di troll russi durante le presidenziali Usa del 2016 -, e aumentare la trasparenza degli spot politici.

CHE COSA CAMBIA

In particolare, il colosso fondato e guidato da Mark Zuckerberg ha annunciato che per pubblicare post elettorali a pagamento, gli inserzionisti dovranno essere autorizzati nei loro Paesi, dimostrando la loro identità e la residenza. Nelle inserzioni dovrà essere specificato chi ha pagato per pubblicarle, quanto ha corrisposto e quante persone le hanno viste. Chi non si sarà registrato entro metà aprile, si vedrà bloccare gli spot. Inoltre, le pubblicità saranno conservate in un archivio online consultabile per 7 anni. Già in parte annunciati in precedenza, i nuovi strumenti non si applicheranno non solo agli spot elettorali in senso stretto, a sostengono di un candidato o partito, ma anche a quelli che trattano argomenti molto politicizzati e in grado di incidere sul voto, come ad esempio l’immigrazione. Saranno invece trattati in modo differente gli articoli giornalistici sponsorizzati sul social network, anche se riguardanti temi politici.

I TIMORI DI BRUXELLES

Poche settimane fa, ha raccontato Formiche.net, la Commissione europea aveva pubblicato una relazione nella quale si dichiarava insoddisfatta dei progressi raggiunti nell’ambito di un accordo anti fake news siglato con i principali social network, un codice di condotta a adesione volontaria che richiede, tuttavia, l’impegno dei colossi di Internet.

La Commissione chiese nello specifico alle aziende che gestiscono i social network (e con essi oltre il 50% dell’informazione che giunge ai cittadini europei), che vengano rispettati gli impegni previsti all’interno dell’intesa, che includono un aumento della trasparenza intorno ai contenuti sponsorizzati (quanto annunciato da Facebook); la rapida identificazione e cancellazione di conti online falsi; delle regole più chiare sull’utilizzo dei bot e soprattutto una maggiore trasparenza per quanto concerne gli algoritmi utilizzati per l’informazione online.

LE INFLUENZE ESTERNE

Parlando con il Financial Times, funzionari europei non hanno nascosto il timore che, in vista dell’appuntamento di maggio, sia da Mosca che possa partire un attacco mirato proprio contro Bruxelles. E si sono detti pronti a contrastarlo, sopratutto per quel che concerne le attività della cosiddetta “fabbrica dei troll” di San Pietroburgo, l’Internet Research Agency (Ira), già bloccata in precedenza dal Cyber Command Usa per evitare che potesse influenzare le passate elezioni midterm.

Uno dei pericoli maggiori, ha evidenziato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, è che i processi democratici possano essere alterati o comunque inquinati come accaduto con le intromissioni “esterne” registrate durante il referendum per la Brexit (un rischio intravisto anche dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha affermato più genericamente che esistono “forze” che mirano ad influenzare le scelte dei cittadini europei, con riferimento anche a campagne social che nel recente passato hanno alimentato divisioni dando benzina a movimenti populisti).

IL RAPPORTO ENISA

Le dichiarazioni politiche sono supportate da una serie di report che stanno delineando un quadro complesso. Un position paper dell’Enisa, l’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione recentemente rafforzata, ha rivelato l’esistenza concreta di una minaccia informatica contro l’infrastruttura elettorale. Gli attacchi potrebbero colpire le tecnologie digitali utilizzate in diversi Stati membri per votare, le campagne elettorali, i registri, e numerose altre strutture vulnerabili. Non solo per interferire, però. Il rapporto rivela anche che diversi gruppi hacker potrebbero colpire le elezioni al fine di ricattare e avere un ritorno finanziario, mentre altrettanti potrebbero essere semplicemente spinti dal desiderio di mandare in tilt un evento di importanza globale (anche per cause di hacktivismo). Lo studio, che si concentra maggiormente sulle violazione nei sistemi di voto piuttosto che sulla disinformazione, rimarca la responsabilità dei singoli Stati membri, in particolare errori di natura educativa, igiene cyber, e approcci legislativi inconcludenti.

L’ALLARME DI MICROSOFT

Di matrice quasi certamente statuale sono stati invece gli attacchi già registrati da Microsoft. Il gigante tech di Redmond ha recentemente reso nota tramite il suo vicepresidente Tom Burt l’esistenza di una campagna offensiva cyber perpetrata contro istituzioni, Ong e think thank europei. Oggetto di “attenzioni” sono stati il German Council on Foreign Relations, la sede tedesca dell’Aspen Institute e il German Marshall Fund. Secondo quanto affermato dal post pubblicato da Burt, tra settembre e dicembre del 2018, sono stati violati gli account di oltre cento dipendenti situati in Belgio, Francia e Germania. Anche in questo caso, nonostante l’impossibilità di un’attribuzione ufficiale, il colosso della Rete sospetta che dietro gli attacchi ci sia un gruppo di hacker vicino al Cremlino, Apt28 (noto anche come Fancy Bear).

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