Se in merito alla trasparenza del prezzo dei farmaci ogni posizione è legittima, sul linguaggio non tutto può essere concesso. Soprattutto quando si ricopre un ruolo importante, come nel caso delle affermazioni del Direttore dell’Agenzia del Farmaco (Aifa), Luca Li Bassi, rilasciate in una intervista al Fatto Quotidiano, in cui si accusano di ricatto quelle stesse aziende farmaceutiche con cui l’istituzione opera quotidianamente.
Sarebbero almeno 1.800 i medicinali in Italia, pari quasi al 60% di quelli ospedalieri e in distribuzione in farmacia, di cui i cittadini non possono sapere il prezzo al quale il servizio sanitario li acquista dall’industria farmaceutica. Secondo il direttore generale dell’Aifa, nominato a settembre dello scorso anno dal ministro della Salute Giulia Grillo, le aziende farmaceutiche inserirebbero dunque nel contratto delle clausole di riservatezza in cambio degli sconti. “Se non accetti ti fanno un prezzo più alto”, ha dichiarato Li Bassi
Uno sconto in cambio del silenzio, dunque. Ma è veramente così?
Una totale trasparenza sui prezzi potrebbe invece non remare a tutto vantaggio del Ssn. Anzi. La possibilità di avere degli sconti obbligatori non pubblicati in Gazzetta Ufficiale, ma noti al ministero della Salute, a quello dell’Economia, alle Regioni e alle singole Asl, consente alle imprese che operano in Italia di avere prezzi paragonabili a quelli presenti negli altri Paesi. Una riservatezza dunque tesa a tutelare l’accordo raggiunto, che prevede lo sconto a vantaggio del Servizio sanitario nazionale, garantisce una più efficace competizione tra aziende, un accesso più rapido alla cura da parte dei pazienti e limita l’esportazione parallela dovuta ai prezzi più bassi che altrove.
In più la riservatezza di alcuni sconti rafforzerebbe il potere contrattuale di Aifa nell’ambito delle negoziazioni di medicinali nella stessa aerea terapeutica. Come? Evitando che i successivi concorrenti prendano ad allineare il proprio prezzo a quello della prima impresa entrata sul mercato. Aspetto affermato anche dal Consiglio di Stato in una sentenza del 2017 (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 1213/17).
Il tema qui non ha a che fare solo con lo stupore e l’amarezza degli addetti del settore per le parole usate dal ministro della Salute, Giulia Grillo, e dal direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, emerso all’indomani della conferenza stampa indetta dal dicastero di Lungotevere Ripa per presentare una risoluzione già inviata all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per chiedere maggiore trasparenza nel settore farmaceutico. Si tratta di elementi che influiscono direttamente sulle dinamiche economiche del nostro Paese. Cavallo di battaglia di M5S fin dalla scorsa legislatura, rilanciato e invocato più volte dal governo sotto il solco del principio della trasparenza, la lotta contro il segreto nella contrattazione dei prezzi rischia così di trasformarsi nell’ennesimo caso di cultura anti industriale che permea tutto il Paese mettendo ancora una volta in difficoltà l’economia italiana.
Non riconoscere e valorizzare gli investimenti che le aziende farmaceutiche continuano a realizzare nel Paese pur a fronte di una spesa per medicinali inferiore agli altri big europei, pone un freno ad un asse portante della nostra competitività.