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Tav e crisi di governo, l’alleanza tra Cinque Stelle e Pd è impossibile. Parla Fassino

Nessun secondo forno per i Cinquestelle, il Pd non si alleerà in alcun caso con il Movimento guidato da Luigi Di Maio. “Se dovesse cadere il governo, si dovrebbe tornare a elezioni“, ha commentato in questa conversazione con Formiche.net il deputato del Partito democratico Piero Fassino che ha confermato la posizione già espressa dal neosegretario Nicola Zingaretti del quale è stato uno dei principali sostenitori nella recente corsa delle primarie. “All’indomani di una crisi provocata dalla Tav, non è neppure immaginabile che il Pd possa allearsi  con chi dice che quella infrastruttura così importante non si deve fare“, ha ribadito l’ex segretario dei Democratici di Sinistra ed ex sindaco di Torino, che in questa intervista ha pure indicato tutte le ragioni per le quali l’Italia, a suo avviso, non può permettersi di rinunciare all’alta velocità tra Lione e il capoluogo piemontese.

Fassino intanto oggi a Torino tornano in piazza le madamin per dire sì alla Tav. C’è qualcosa di profondo che si sta muovendo, secondo lei, nel Nord Italia?

Il Nord è tutto favorevole alla Tav : il settentrione, da locomotiva economica del Paese, è pienamente consapevole di quanto siano importanti le infrastrutture per lo sviluppo. È significativo che i governatori leghisti di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia-Giulia – Attilio Fontana, Luca ZaiaMassimiliano Fedriga – dicano che la Tav ci si deve assolutamente fare: sanno perfettamente che per le loro regioni, per il Nord Italia e per tutto il Paese si tratta un’opera irrinunciabile.

Sembra difficile a questo punto che Matteo Salvini possa tanto facilmente accettare che la Tav non venga realizzata. Che ne pensa?

Mi pare onestamente impossibile: rinunciare alla Tav per la Lega significherebbe contraddire l’interesse nazionale del Paese e la forte sollecitazione proveniente da un mondo che è molto espressione del suo elettorato.

Anche i Cinquestelle però non sembrano voler mollare. Oppure alla fine faranno un passo indietro secondo lei?

Di sicuro, più insistono a dire no e più perdono credibilità nel Paese. Forse accontentano qualche pasdaran ma con queste posizioni che hanno via via assunto in un anno hanno perso dieci punti percentuali. Qualcosa vorrà dire. Non è che recuperano se radicalizzano le loro posizioni. Questo è un errore che un partito politico fa sempre quando comincia a perdere voti: diventa più estremista nella convinzione di poter recuperare i consensi, ma in politica non funziona così. Anzi, le cose vanno esattamente al contrario.

Alla fine i due partiti di maggioranza potrebbero trovare la quadra con qualche escamotage a suo avviso?

Si sta discutendo di un’infrastruttura di natura strategica per il Paese che serve agli investimenti, alla creazione di lavoro, a modernizzare il Paese e a inserirlo nei circuiti internazionali. La valutazione deve essere di merito, non di giochi o di scambi. E’ la politica peggiore quella che quando deve assumere una decisione, anziché scegliere per ragioni di fatto, ne cerca altre. La verità vera è che i Cinquestelle hanno una posizione sbagliata da anni sulle infrastrutture, tanto è vero che in campagna elettorale dissero no al Terzo Valico, alla Tap, al nuovo porto di Ancona, alla Tav, all’Ilva. A tutto. Dopodiché hanno dovuto rimangiarseli uno dopo l’altro perché sono insostenibili: l’unico no che resiste è quello alla Tav.

Quindi a suo avviso potrebbe davvero andarsi a configurare la crisi di governo se le posizioni dovessero rimanere queste?

Vedremo cosa succederà tra le forze di governo, tuttavia la rottura è evidente. La Lega è favorevole alle infrastrutture mentre i Cinquestelle – e ormai pure il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – hanno un atteggiamento ideologico e pregiudiziale: stanno caricando la Tav di una serie di valutazioni di natura simbolica e politica che oscurano i dati di fatto.

Per quali ragioni, lei che conosce bene il territorio piemontese ritiene che la Tav sia assolutamente necessaria?

Sono numerosissime. Innanzitutto si consideri che l’attuale linea storica è del 1871 e che se anche fosse adeguata non sarebbe comunque competitiva, considerato peraltro che ci passa solo il 7% delle merci che transitano sul valico del Frejus mentre il 93% viene trasportato via tir. Seconda ragione: abbiamo 750.000 camion all’anno che passano sull’autostrada a dimostrazione che il flusso è consistentissimo. Trasferire quota significativa di queste merci dalla gomma al ferro determinerebbe una notevole riduzione dei costi e dell’impatto ambientale.

E poi?

Bisogna sempre ricordare che il 41% delle nostre esportazioni verso l’Europa passa per i tre valichi italo-francesi del Fréjus, del Monte Bianco e di Ventimiglia. Quest’ultimi due, però, non hanno una infrastruttura ferroviaria ad alta velocità e non l’avranno, quindi fare la Tav vuol dire trasferire da gomma a ferro non soltanto quello che oggi passa sui tir del Fréjus ma anche una quota significativa di  ciò che viene trasportato dai camion passando per Ventimiglia e Monte Bianco.

Peraltro c’è pure una dimensione europea da considerare. La Torino-Lione non è una tratta locale. Non è così?

Assolutamente, è il tratto centrale di un grande corridoio di mobilità che parte dal confine tra l’Ucraina e l’Ungheria e arriva fino all’Atlantico passando per la Pianura Padana. Questa è una ragione assolutamente essenziale: costruire una grande infrastruttura di mobilità di merci e di persone attorno a cui si addenseranno investimenti di ogni tipo: produttivi, logistici, di servizi. Una vena di sviluppo imprescindibile, per l’Europa e l’Italia. Tra l’altro i lavori sono già iniziati per cui, se davvero si bloccasse l’opera, tra penali varie e risorse da utilizzare per il ripristino del territorio finiremmo per spendere di più di quanto non ci costerebbe terminare l’infrastruttura.

Da questo punto di vista, ieri sul Corriere della Sera Massimo Franco ha sottolineato pure la figuraccia internazionale cui l’Italia si sta già esponendo con questa melina. Quanto incide a suo avviso questo aspetto?

È fondamentale perché mette fortemente in discussione l’affidabilità di un Paese che sottoscrive accordi internazionali e avvia un’opera, salvo poi minacciare continuamente di interromperne la realizzazione. Abbiamo sottoscritto ben 4 accordi internazionali per costruire la Tav, senza contare il contributo dell’Unione europea che partecipa per un terzo alle spese. Tra 5 e 6 miliardi di euro.

Fassino, ma all’ipotesi sorpasso del Pd ai danni del M5S lei ci crede? Qualcuno, anche tra i sondaggisti, ha iniziato a parlarne in vista delle prossime europee…

Si vedrà, è inutile fare previsioni su una scelta che spetta agli elettori. La partecipazione di un milione e 7000.000 persone alle primarie di domenica scorsa, però, è stato un elemento di forza evidente che dice che il Pd c’è, ha radici nel Paese ed è il punto di riferimento di una comunità vasta. Che Zingaretti abbia ottenuto oltre il 70% dei consensi è un altro elemento molto positivo: vuol dire che è un segretario ampiamente legittimato e riconosciuto. E poi dobbiamo aggiungere l’andamento delle regionali – in cui il Pd è vero ha perso, ma ha retto bene – e la manifestazione di Milano della scorsa settimana: tutto questo conferma che in Italia l’opposizione cresce e che il Partito democratico ne rappresenta il punto di riferimento indiscutibile.

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