“Il papa argentino ha scelto il nome di Francesco. Ne sono infinitamente commosso, perché Francesco significa il rinnovamento evangelico della Chiesa nell’amore della santa povertà, ma anche lo spirito ecumenico di Assisi, la preghiera delle religioni per la pace, inaugurata nel 1986 da Giovanni Paolo II. A un livello più profondo evoca la visita del Poverello al sultano musulmano a Damietta, sul fronte della guerra crociata. Un incontro di cortesia, di riconoscimento reciproco in alternativa alla guerra”. Così scriveva nella primavera del 2013 Padre Dall’Oglio e per noi, della associazione dei suoi amici, è l’anticipazione della gratitudine per questa dichiarazione fondamentale per tutti, non solo per i cristiani e i musulmani, visto che si conclude cosi: “Questa Dichiarazione sia un invito alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà”.
Al centro di questa dichiarazione c’è la comune cittadinanza, ma alcuni, sia qui in Europa che nell’oriente arabo hanno messo al centro più che i contenuti il luogo della firma, quegli Emirati Arabi Uniti amici di Riad e che non sono certo un esempio di rispetto e pacificità. A tutti costoro chiederei volentieri: e dove avrebbero dovuto firmarla nel vasto oriente arabo? Omettiamo le terre dei wahhabiti, ovviamente. Forse avrebbero dovuto recarsi a firmarla nel Libano che ora sembra progettare la deportazione dei fuggiaschi siriani? Nella Siria governata da responsabili di crimini contro l’umanità? Nell’Iraq incapace di darsi una legge sulla perseguibilità di tutti i genocidi? Nel Sudan del condannato per crimini contro l’umanità? Nell’Egitto dove i Giulio Regeni egiziani sono migliaia? Nel Qatar che ha finanziato ogni banda jihadista? Nel Bahrein della vessazione settaria e tribale? La situazione drammatica dell’oriente arabo ricorda quella dei tempi dell’invasione dei mongoli e occorre dire perché: tutti questi stati ormai sono degli stati falliti, un fallimento che deriva da quello di due ideologie malate, il panarabismo e il panislamismo, unite dalla comune cleptocrazia.
La dichiarazione dunque individua la malattia e consegna al malato la sola terapia, la creazione di stati fondati sui diritti di cittadinanza per tutti e di tutti. Tra quanti hanno contribuito dal basso a preparare il terreno su cui loro hanno saputo costruire questo ponte c’è, con il beato Pierre Clavery, con don Andrea Santoro, con monsignor Luigi Padovese e tanti altri anche padre Paolo Dall’Oglio. In un articolo pubblicato dopo il suo sequestro Paolo ha scritto: “Faccio ormai parte d’una specie di collettivo su internet con il quale compariamo informazioni, cerchiamo di chiarire gli eventi, di emanciparci da febbri ideologiche e maree emotive suscitate e cavalcate ad arte. Ma la lotta è impari. Occorre formulare un mantra da ripetere di continuo: le sfumature sono sempre più fragili della propaganda: se vi soddisfa l’indottrinamento non abbiamo più nulla dirci”.
Noi dell’associazione giornalisti amici di padre Dall’Oglio siamo un po’ di quel collettivo, che ha ha voluto provare a procedere. Così oggi, davanti a questa dichiarazione, provando a esprime la gioia che sentiamo anche sua, proviamo in poche parole a tornare indietro, come tante volte ci ha sollecitato a fare. Quando il povero imperatore Emanuele II Paleologo ritrovò inattesa notorietà ci si soffermò su quanto asseriva più che su quando lo asserì: le sue parole giunsero al termine di quel terribile XIV secolo, segnato dalle invasioni dei mongoli, che spazzarono via secoli di buona convivenza in terra araba.
Il professor Philip Jenkins nella “Storia perduta del cristianesimo” ricorda che quelle invasioni terrorizzarono i musulmani con la prospettiva di una minaccia diretta al loro potere sociale e religioso. È un caso che il pensiero islamico che ispira tanti estremisti risalga proprio a quei tempi? I mutamenti climatici e l’improvviso raffreddamento poi crearono carestie e contrazione delle rotte commerciali. E scrive: “Un mondo spaventato e impoverito cercava capri espiatori”. Questa lettura non dice qualcosa anche dell’oggi nostrano? Non ci dice qualcosa il fatto oggettivo che i cristiani ritenuti eretici dai concili bizantini vivevano bene fuori da quei confini e che l’asserita fedeltà all’imperatore degli altri li fece apparire nemici delle altre potenze? Davvero il cristianesimo deve basarsi sulla tradizione filosofica greca, quindi sul modello intellettuale europeo? E le Chiese perdute, che espressero il cristianesimo in tradizioni diverse, come il confucianesimo, il buddhismo, il taoismo? È sempre prezioso ricordare, come fa con accuratezza il professor Kamal Salibi, che molte persecuzioni di cristiani nestoriani o monofisiti furono bizantine.
Lontani da costantinismo e oscurantismo Francesco e al Tayyeb ci offrono una pagina nuova, basata sulla comune cittadinanza: per l’Islam arabo può significare un rapporto con la modernità, la liberazione dai due fallimenti per aprire l’epoca della comunità né araba né credente ma nazionale, costituita da persone che in un determinato spazio geografico scelgono consapevolmente di voler vivere insieme. In “Origini” il grande scrittore cristiano libanese Amin Maalouf racconta la gioia del nonno davanti alla prima costituzione che garantiva a tutti la cittadinanza ottomana, lo descrisse come il momento più bello della sua vita. Stagione breve, ma Cevdet Pascià in una relazione sulla promulgazione dell’editto di riforma, annotava: “I patriarchi erano contrari… sino ad allora in qualsiasi luogo dello stato ottomano le comunità erano ordinate gerarchicamente coi musulmani per primi, quindi i greci, gli armeni e gli ebrei, ma ora tutte si ritrovavano poste allo stesso livello. Alcuni greci obiettavano a ciò dicendo: il governo ci ha uniti tutti agli ebrei, ma a noi stava bene la supremazia dell’Islam”.
Le grandi famiglie del Fanar, ha osservato Bernard Lewis, avevano stabilito una relazione simbiotica con lo stato ottomano. Era greco il Gran Dragomanno e i governatori dei principati danubiani. Questa relazione simbiotica si sente ancora nella continua richiesta proprio di una protezione dei cristiani che evoca il sistema della protezione pre-costituzionale. Forse è per questo che molti patriarchi ci hanno abituati a sentir parlare dei cristiani, mentre la messa celebrata da papa Francesco ha fatto parlare Gesù nella penisola arabica, soprattutto con la citazione delle beatitudini e l’indicazione a vescovi e preti “questo vale anche per voi nel vostro quotidiano”.