Gavin De Becker, capo della sicurezza di Jeff Bezos, il guru fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post, ha scritto un articolo sul Daily Beast sostenendo di avere elementi a sufficienza per credere che il magnate americano sia stato messo sotto intercettazioni dal governo saudita.
Prima di andare avanti: il Daily Beast è un sito in cui escono spesso informazioni sparate, ma l’articolo in cui la notizia è pubblicata è un op-ed scritto direttamente da De Becker, che è uno specialista di sicurezza di fama mondiale (non a caso Bezos, l’uomo più ricco del mondo, da vent’anni si affida a lui come capo del team dei suoi bodyguard speciali). De Becker ha collaborato con il dipartimento di Giustizia, con l’Fbi, con la CIA e con la presidenza Reagan.
Secondo quanto scrive l’esperto di sicurezza, sauditi avrebbero messo sotto intercettazione il telefono personale di Bezos, ottenendo informazioni riservate su di lui attraverso un’azione hacking ancora non dettagliata. È una dichiarazione molto forte, forse l’ultima di questo genere, perché l’investigatore privato, a cui Bezos ha affidato compiti di indagine senza limiti economici, dice che ha passato tutti gli elementi raccolti alle autorità, che stanno aprendo un’indagine (e dunque le cose d’ora in poi dovrebbero essere coperte dal segreto di inchiesta).
La vicenda è molto interessante perché si lega a un fatto di cronaca di qualche mese fa, quando Bezos rivelò pubblicamente di essere finito sotto un ricatto da parte della America Media Inc. (AMI), società che pubblica diversi tabloid tra cui il National Enquirer. Il ricatto era semplice e riprendeva una prassi che si chiama “catch & kill” (prendi le informazioni e uccidi) già notoriamente utilizzata dall’Enquirer. Il giornale, nei giorni in cui era stato reso pubblico il divorzio tra Bezos e la moglie (con cui era sposato da diversi anni) aveva già fatto uscire dei messaggi di testo che il magnate s’era scambiato con una donna, la sua amante. Poi gli aveva fatto sapere di essere in possesso di immagini legate al sexting tra i due: l’Enquirer le avrebbe pubblicate se Bezos non avesse bloccato la copertura negativa che il WaPo dava del tabloid. Erano usciti articoli in cui si accusava l’Enquirer di agire per conto di un governo straniero senza registrazione, legate a un settimanale in cui si propagandava soft power saudita forse pagato da Riad; in più sul Post si era scritto (senza benevolenza) dei legami tra il capo di AMI, David Pecker, e Donald Trump (relazioni che sono ventennali, in realtà).
Bezos aveva denunciato il ricatto, invitando AMI a far uscire le foto (era un’ottima strategia, il magnate dava un’immagine di sé da puro, il nudo non sarebbe uscito perché lui aveva dichiarato pubblicamente che quelle foto erano state rubate, dunque avrebbe messo l’Enquirer potenzialmente sotto un caso legale contro il più ricco del mondo). Ma intanto Bezos aveva lanciato De Becker in un’investigazione per capire come quei dati fossero stati sottratti e poi passati alla AMI.
Ora De Becker dice di aver indagato e di aver scoperto che sono stati i sauditi. La vicenda è probabilmente solo all’inizio, ma c’è anche un altro grosso link tra Bezos e Riad: l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato del suo paese a Istanbul. Khashoggi lavorativa per il Washington Post, e viveva in Virginia perché temeva che restare in Arabia Saudita non fosse sicuro per via delle sue posizioni contrarie al nuovo corso del potere nel regno. Dalle prove raccolte, sarebbe stato ucciso da una squadraccia dei servizi segreti sauditi inviata da Riad.