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Greta Thunberg e la lotta ambientalista. Dubbi e riflessioni sulla manifestazione

Domani in molti paesi occidentali gli studenti scenderanno in piazza per sensibilizzare persone e governi sul tema del cambiamento climatico. Una adolescente svedese, Greta Thunberg, che dalla scorsa estate protesta ogni venerdì di fronte al parlamento del suo paese, è stata già elevata a star globale di questa battaglia: pur giovanissima, ha già parlato a vertici Onu e al Forum di Davos, organizza iniziative, rilascia interviste a media vecchi e nuovi (oggi lo fa con il quotidiano “La Repubblica”). Non solo: un gruppo di deputati socialisti norvegesi l’ha proposta addirittura per il premio Nobel per la pace. Mentre intanto, diciamo “in preparazione” dello “sciopero” di domani, voci allarmistiche, anzi catastrofiste, sulle sorti del nostro pianeta sono abilmente trasmesse e reiterate dai media mainstream di tutto il mondo occidentale.

L’obiettivo politico sotteso a questa battaglia, in modo nemmeno troppo velato, sono quei politici “populisti” quali Donald Trump che negano o ridimensionano il cambiamento climatico. Sul quale, in effetti, nonostante i media dicano il contrario, una evidenza empirica assoluta non c’è. E, in ogni caso, ammesso che ci sia, gli stessi scienziati non sono sicuri se attribuire questi fenomeni al solo intervento inquinante umano. In ogni caso, non è questo il problema che si vuole portare all’attenzione, bensì il reiterarsi nella retorica progressista globale di alcuni topoi ormai ben riconosciuti.

In primo luogo, l’esigenza di ragionare in grande, secondo progetti politici razionalistici di larga scala. Un conservatore, come ad esempio Roger Scruton, ci ha indicato, non è affatto insensibile ai problemi ambientali e della salvaguardia della natura, ma crede che essi vadano affrontati nel concreto delle situazioni e attraverso l’acquisizione di una sensibilità specifica e non politica. In secondo luogo, è evidente poi il tentativo di strumentalizzare i piccoli per battaglie su idee che non possono essere affrontate solo con la retorica dei buoni sentimenti o con un pensiero ancora non formato e adeguato alla complessità del mondo quale il loro. In terza istanza, segnalerei poi la convergenza che anche in questo caso si realizza fra il pensiero liberal e “politicamente corretto”, a cui è da ascrivere questa battaglia, e il mercato liberista sia dei finanziamenti alle ricerche scientifiche sia della comunicazione e anche della pubblicità globale.

Il tutto lungo quella linea del connubio, a mio avviso non liberale, fra liberal e liberisti che è stato il carattere dominante della politica degli ultimi decenni e che la comparsa sullo scenario delle forze “populiste” ha cominciato un po’ a scalfire. Infine, la presenza, accanto all’Onu, dell’Unione europea nel suo nucleo franco-tedesco o “carolingio”, come lo chiama “La Republica”, dimostra ancora una volta come l’ideologia egemone e le élite dominanti si muovano lungo l’asse che corre, legandole, fra le organizzazioni internazionali o sovranzionali di natura non democratica e impolitica.


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