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Un nuovo corso per la Fondazione Ibm

ibm, lavoro

Cambi di vertice e leadership tutta al femminile per la Fondazione Ibm Italia, attiva dal 1991. Il consiglio direttivo ha designato alla guida Alessandra Santacroce, già direttore delle Relazioni istituzionali di Ibm Italia e nel board di Anitec-Assinform e di Unindustria, e Floriana Ferrara nel ruolo di direttore. “Siamo al lavoro per la predisposizione del Piano Strategico che sottoporremo a breve al Consiglio Direttivo, ma possiamo già dire che i nostri obiettivi sono – e saranno – costantemente quello di essere rilevanti all’interno delle comunità, di concentrarci su quelle che sono le priorità del Paese”, ha affermato Santacroce in una conversazione con Formiche.net. E ancora: “Il nostro impegno sarà molto centrato quindi nel fare “cultura per l’innovazione”, creare modelli ripetibili di relazione con la tecnologia in una logica di contaminazione”.

Dottoressa Santacroce, dopo la sua lunga esperienza in aziende multinazionali come Ibm come ha accolto questa nuova sfida? 

Sono molto onorata di questo incarico che accolgo con entusiasmo e determinazione. Ho avuto il privilegio di lavorare in aziende multinazionali che hanno sempre riconosciuto il valore sociale come un elemento fondante del fare impresa. In questo ambito, Ibm vanta una storia importante, con un impegno a 360 gradi. Uno dei nostri valori fondanti è da sempre quello del trust and responsibility. Negli oltre 100 anni di storia, Ibm ha precorso i tempi nel riconoscere i diritti e le opportunità delle diverse fasce di popolazione all’interno del mondo del lavoro, così come della cultura aziendale per rendere questo impegno concreto dal principio. La Fondazione da oltre 20 anni rappresenta questo impegno nel sociale, svolgendo un ruolo attivo molto importante nel fare da ponte tra le nuove tecnologie e i bisogni della società. Presiedere la Fondazione significa, per me, in piena continuità alla storia che la rappresenta, portare avanti questo impegno, facendo leva sui percorsi già avviati, ma anche cercando nuovi modelli di social innovation e nuovi progetti basati sulle tecnologie innovative.

La Fondazione, tra i tanti progetti, è impegnata infatti a promuovere il benessere delle comunità e il sostegno del terzo settore e del volontariato. La tecnologia, secondo lei, può avere un ruolo nel creare valore sociale per i cittadini? Quale?

Assolutamente sì. La tecnologia è fondamentale e la Fondazione in particolare ha applicato competenze e tecnologie per promuovere la crescita attraverso lo sviluppo e la modernizzazione dell’istruzione, la sostenibilità ambientale, l’assistenza sanitaria e tanti altri aspetti. Oggi però, a fronte di una trasformazione digitale continua e molto veloce, sarà sempre più importante concentrarsi su una tecnologia inclusiva e responsabile – elemento per Ibm distintivo nel rappresentare una Good Tech Company.

Ci spieghi meglio.

La tecnologia offre opportunità enormi per gestire le nuove emergenze, le diseguaglianze, le sfide della sostenibilità. Credo che nulla come la tecnologia possa favorire la convergenza tra il successo di un’azienda e il benessere della comunità. Ampliare l’accesso alle nuove tecnologie in maniera inclusiva e consapevole è fondamentale per favorire l’accesso alle nuove opportunità, per sviluppare collaborazione tra i diversi soggetti, per favorire la partecipazione attiva delle diverse categorie sociali allo sviluppo del Paese.

Può farci qualche esempio?

Sviluppiamo soluzioni per valorizzare le diversità, per rispondere alle emergenze territoriali, per aiutare il terzo settore a modernizzarsi, programmi di formazione per le diverse fasce di età, abbiamo volontari in giro per il mondo che portano la loro esperienza per la crescita dei contesti più disagiati o più in ritardo. Alcuni progetti: l’AI per il mondo del volontariato, l’Asl, Cultura digitale nelle scuole con , San Partignano… la Fondazione si impegna affinché le soluzioni introdotte siano sempre più rispondenti ai bisogni della società.

Queste nomine – ha dichiarato infatti il vostro Ad Enrico Cereda – rappresentano l’avvio di un nuovo corso nella Corporate Social Responsibility di Ibm Italia. Quali sono gli obiettivi che vi prefissate – se può anticiparci qualcosa?

Siamo al lavoro per la predisposizione del Piano Strategico che sottoporremo a breve al Consiglio Direttivo, ma possiamo già dire che i nostri obiettivi sono – e saranno – costantemente quello di essere rilevanti all’interno delle comunità, di concentrarci su quelle che sono le priorità del Paese e di sviluppare maggiormente l’idea che la Fondazione possa essere una Fondazione di servizio più che oggetto di donazioni. Il nostro impegno sarà molto centrato quindi nel fare “cultura per l’innovazione”, creare modelli ripetibili di relazione con la tecnologia in una logica di contaminazione. Vogliamo che questa attività di contaminazione con il nuovo corso diventi contagiosa in una logica che spesso si utilizza nel no profit di “train the trainer”, in modo tale da generare un effetto moltiplicativo per raggiungere il più alto numero di persone. L’obiettivo forse più importante è proprio quello di portare l’innovazione sempre più a contatto con gli individui e collaborare per un comune senso etico dell’innovazione che unisce e non divide.

Si avverte un forte bisogno di crescita delle competenze digitali. Quale potrà essere il vostro contributo in termini di formazione?

Sarà tra i principali focus della Fondazione, oltre che per Ibm come Good Tech, perché la formazione è centrale sia per creare un percorso virtuoso di sviluppo delle comunità, sia per creare questa idea della Good Tech che non lascia indietro nessuno. Come Fondazione siamo già impegnati da tempo, ma intendiamo porre ancora maggiore accento sulla formazione, tra gli obiettivi, quale elemento determinante. Nostro obiettivo è quello di coniugare esperienze concrete, saperi diversi e skill diversi. Dalla formazione nelle scuole medie con missione su Marte all’alternanza scuola lavoro, fino al progetto PTech per la sperimentazione di modelli didattici innovativi sono solo alcuni degli esempi.

Ibm ha da poco lanciato il programma “#AcceleraItalia” che pone l’innovazione al servizio del Paese come driver di sviluppo. Qual è, nella sua opinione, la leva offerta dalle tecnologie esponenziali in tal senso? Che benefici si possono avere?

Ibm ha alle spalle un lavoro molto importante, che non ha soluzione di continuità con la Fondazione, che riguarda i principi etici nell’affrontare l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie in generale, che si declinano nella nostra visione dell’intelligenza aumentata. Quindi una visione delle tecnologie che sono al servizio dell’umanità, complementari, all’interno della forte discussione sul rapporto uomo-macchina, la scommessa riteniamo sia quella di puntare sull’uomo facendo aumentare le sue opportunità, lavorando in maniera trasparente.

In conclusione, AI, Watson, super-humans, cognitive computing, possiamo dire che Ibm ha visto – in anticipo – come sarà il prossimo futuro. Queste tecnologie hanno la potenzialità di cambiare le nostre vite in pochi anni. Cosa manca in definitiva all’Italia per essere competitiva?

Sicuramente, sono fondamentali continuità, un disegno strategico di lungo termine e che dia certezza a giovani, imprese e cittadini, la collaborazione tra pubblico privato, profit e no profit, quindi la capacità di fare squadra, formazione innovativa, soft skill, nuove competenze e per finire l’idea di una Good Tech, cioè una tecnologia buona che sia contagiosa e si rivolga a tutto il comparto.

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