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Immigrazione e giustizia, ecco i test decisivi per rianimare il Pd di Zingaretti

Il difficile viene adesso e Nicola Zingaretti lo sa benissimo. Passato l’entusiasmo della vittoria e le file ai gazebo, il neosegretario del Partito democratico dovrà definire presto una linea credibile tenendo conto degli errori del passato. La credibilità passerà da un confronto a distanza con il vero leader dell’attuale maggioranza di governo, Matteo Salvini, che non a caso è ricomparso sulla scena mediatica all’indomani delle primarie del Pd. Saranno soprattutto due i temi sui quali l’elettorato che il Pd spera di recuperare dovrà essere rassicurato: immigrazione e giustizia.

IMMIGRAZIONE

L’attuale ministro dell’Interno ha riscosso un grande successo alle elezioni dell’anno scorso promettendo l’espulsione dei circa 500mila irregolari presenti in Italia. Impresa impossibile, ma gli italiani esasperati non si informarono sull’assenza di accordi di riammissione credendo invece che finalmente qualcuno avrebbe messo mano a una situazione spesso inaccettabile. Salvini da un anno sta usando il pugno duro che ha avuto effetti positivi e negativi: l’Unione europea non è in grado di trovare un accordo decente e continua a lasciare sola l’Italia che, a sua volta, si è isolata politicamente per un approccio tutt’altro che diplomatico; di conseguenza il Consiglio europeo dello scorso giugno decise che i ricollocamenti, che già erano un terzo del dovuto, sarebbero stati solo volontari anziché obbligatori e che la riforma del regolamento di Dublino potrà avvenire solo all’unanimità. Gli sbarchi in Italia ridotti al lumicino (meno 95 per cento) sono certamente una conseguenza dell’approccio avuto da Salvini fin dalla nave Aquarius, anche se poi si è arrivati a un’accusa di sequestro di persona per la vicenda Diciotti e il leader leghista è stato salvato dal Movimento 5 stelle. Nello stesso tempo, va sottolineato anche che le partenze dalla Libia sono drasticamente calate: se fosse solo merito di Salvini, tutti quelli che sbarcavano in Italia oggi andrebbero in Spagna e in Grecia mentre i dati ufficiali dell’agenzia Frontex dicono che nel 2018 il numero degli sbarchi nel Mediterraneo è calato mediamente del 27 per cento, a fronte di un crollo dell’80 per cento sulla rotta centrale. Secondo la recente relazione dell’intelligence al Parlamento, l’anno scorso le partenze dalla Libia furono il 55 per cento del totale rispetto al 90 per cento dell’anno precedente. Fatti i conti, il numero degli irregolari in Italia è tutt’altro che diminuito: un’inchiesta del Corriere della Sera ha dimostrato che siamo ad appena 18 espulsi al giorno.

Come intende rispondere Zingaretti? Nella mozione congressuale si legge: “Abbiamo il compito di indicare una strada alternativa senza subalternità culturali di sorta, rifiutando di ridurre la discussione pubblica sull’immigrazione al tema della chiusura delle frontiere e della insostenibilità delle politiche di accoglienza. Occorre perciò individuare una agenda credibile in materia di gestione dei flussi di ingresso e della regolamentazione della presenza straniera nel Paese”. Tradotto dal politichese, l’agenda credibile ancora non c’è e non devono trarre in inganno le file ai gazebo: quelli erano militanti delusi e un po’ rianimati, ma i moderati che votavano centrosinistra e che si sono astenuti o hanno fatto altre scelte adesso vogliono garanzie precise per votare nuovamente il Pd. Il nuovo segretario è d’accordo sui Centri permanenti per il rimpatrio che Marco Minniti voleva in ogni regione senza riuscire nell’intento? Lo stesso promise Salvini nel contratto di governo, addirittura pensando di rinchiudervi tutti gli irregolari: oggi invece i Cpr sono solo sette con poche centinaia di posti. Minniti ha parlato più volte di “rottura sentimentale” con l’elettorato di sinistra e Zingaretti forse dovrebbe sforzarsi di accantonare la propria ideologia perché è vero che si dovrà trovare il modo di integrare chi ha interesse a essere integrato e favorire i corridoi umanitari, ma nello stesso tempo anche dal Pd bisognerà garantire il pugno duro (sì, duro) contro l’evidente illegalità diffusa.

GIUSTIZIA

E qui si può legare il secondo tema, che non riguarda solo l’immigrazione. I cittadini interpretano la giustizia soprattutto come certezza della pena prima ancora che con riferimento ai tempi biblici dei processi. Il drammatico incidente di Porto Recanati, dove due genitori sono morti e i loro figli feriti dopo che la loro auto è stata travolta da quella guidata da un marocchino con precedenti per droga e positivo ad alcoltest e narcotest, è stato preso come riferimento da Salvini per annunciare una proposta di legge che prevede il raddoppio delle pene detentive ed economiche per chi spaccia abolendo il concetto di modica quantità: da 3 a 6 anni di reclusione e multe da 5mila a 30mila euro. Il ministro aveva criticato spesso la legislazione sugli stupefacenti nei mesi scorsi, sempre con prudenza perché la competenza è del Guardasigilli Alfonso Bonafede, ma stavolta (forse anche per un’ulteriore competizione con il Movimento 5 stelle) è andato dritto al punto.

Il tema della droga si lega a quello più generale: chi commette certi reati in carcere non ci va proprio. Si va dall’immediata libertà dopo un arresto, con scorno delle forze dell’ordine, alla sospensione della pena entro i due anni sempre e comunque anche se il codice penale stabilisce che il giudice “può” concederla e non “deve”, alle pene alternative al carcere che, secondo alcuni studi, comportano un calo della recidiva. Una delle prime decisioni del governo Conte fu quella di bloccare la riforma dell’ordinamento penitenziario varata dal precedente ministro della Giustizia, Andrea Orlando, in base alla quale le condanne fino a 4 anni non andavano espiate in carcere, ma con pene alternative. È un tema che da decenni divide la politica e anche su questo Zingaretti dovrà dare risposte precise, a cominciare dall’atteggiamento che il Pd avrà nelle commissioni parlamentari quando la proposta di Salvini sugli stupefacenti sarà calendarizzata.

Sappiamo che il successo del M5s e della Lega un anno fa ha avuto motivazioni diverse e che oggi l’elettorato si sta riposizionando, con un crescente numero di indecisi o astenuti. Oltre all’europeismo e alle scelte di fondo per l’economia e l’occupazione, l’immigrazione irregolare e la certezza della pena saranno due test fondamentali per il nuovo leader del Pd. In Europa un maggiore decisionismo con gli alleati non guasterebbe, in Italia non basterà un po’ di colla per aggiustare quella “rottura sentimentale” di cui parlava Minniti.

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