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Gli interessi italiani in Algeria e la lezione di Enrico Mattei

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Caos Algeria. I partiti di opposizione invocano l’articolo 102 della Costituzione: il presidente del Parlamento assume la guida del Paese in caso di malattia o morte del presidente. Entro 90 giorni si deve tornare alle urne. Gli Usa, tramite Robert Palladino, portavoce della diplomazia americana, dichiarano di sostenere il diritto del popolo a “manifestare pacificamente”. Il ministro dell’Agricoltura francese Didier Guillaume ha dichiarato che la “Francia osserva con molta attenzione lo scenario. Abbiamo bisogno di un’Algeria calma e pacificata”.

Si procede con i piedi di piombo. “Quando l’Algeria si muove, l’Africa e l’Europa trattengono il respiro”, ha titolato in questi giorni l’Huffington Post Maghreb. Se è vero che lo choc della sanguinosa guerra civile degli anni Novanta (200mila morti) ha tenuto l’Algeria al riparo dai tumulti della Primavera Araba nel 2011, è altrettanto vero che anche la Francia ora vuole evitare di “scommettere sul cavallo sbagliato. Perché sappiamo bene come è andata in Tunisia. La Francia ha perso il suo potere intervenendo nella Primavera Araba sostenendo fino all’ultimo Ben Ali. Il ministro degli Esteri Alliot-Marie era arrivato al punto di immaginare l’invio di militari in sostegno del governo contro i manifestanti. Ora però attenzione, l’Algeria per la Francia è un’altra cosa”. Parola di Rachid Ouaissa, algerino, esperto di mondo arabo all’Univerità di Marbourg.

È per l’Italia? Cosa rappresenta l’Algeria per l’Italia? Se Tripoli era il “posto al sole” del sogno nazionalista, l’Algeria ha giocato un ruolo certamente sostanziale negli anni del boom economico, garantisce buona parte dell’approvvigionamento energetica d’Italia ed è lo spazio economico in cui sono esposte alcune delle maggiori aziende italiane, anche con attività molto diversificate. Senza dimenticare che Bouteflika ha assicurato sonni tranquilli all’Europa, con confini praticamente granitici sia in entrata (movimenti terroristici) che in uscita (immigrazione irregolare).

Sì perché non è “solo” questione di gerontocrazia al governo, di insopportabili farse elettorali in attesa della morte clinica del Rais, di bavagli alla stampa e di costrizioni sociali non più tollerabili da una popolazione in media giovanissima e con limitate prospettive. La grave crisi politico-sociale algerina si lega strettamente alle questioni economiche del paese: la caduta dei prezzi del petrolio (dagli 80-100 dollari al barile nel 2011-2013 a 40-60 nel 2015-2017), la disoccupazione (in particolar modo giovanile, circa un quarto è senza lavoro) a cui non risponde uno stato assistenziale di sussidi incapace di valorizzare le energie del paese, l’inflazione.

Terzo produttore di petrolio africano dopo la Nigeria e l’Angola (organismes.org). È il settore dell’Oil&gas a trainare le casse dello Stato: rappresenta il 35% del Pil, il 95% delle esportazioni complessive, anche se il paese sta producendo grandi sforzi nell’investimento su fonti rinnovabili. E come ha ricordato Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano ad Algeri, intervenendo all’Università Luiss di Roma nell’autunno scorso, a ridosso della visita di Conte ad Algeri, l’Italia conta circa 180 aziende nel Paese, non solo attive nei settori dell’energia, ma anche nella produzione di cemento e grandi opere pubbliche. Dunque Eni ed Enel, Ansaldo Energia, Saipem, Bonatti, Cmc Ravenna, ma anche Condotte, Buzzi, Astaldi, Todini, Pizzarotti, Rizzani de Eccher, Trevi.

 L’Algeria è il secondo maggiore fornitore di gas dell’Italia dopo la Russia.

Lapo Pistelli, direttore relazioni internazionali del gruppo Eni, nell’audizione alla commissione Affari esteri e comunitari della Camera il 14 febbraio scorso, ha ricordato che “L’Italia produce il 5% del proprio petrolio e l’8% del proprio gas, quindi importa il 92% dei propri bisogni con una strategia identica a quella europea sia in termini di consumi energetici che in strategie di diversificazione” ma a differenza di altri Paesi, “è riuscita ad accoppiare al tradizionale fornitore russo l’importanza del corridoio meridionale, quindi Algeria e Libia. “

Gli idrocarburi algerini sono in mano all’elite al potere, politica e militare. Il “clan Bouteflika”, come dicono i rivoltosi algerini. L’80% della produzione è gestito, infatti, dalla società pubblica Sonatrach, uno dei maggiori protagonisti energetici di livello mondiale. Il restante 20% è in mano a compagnie petrolifere estere tra cui British Petroleum, Eni, Total, la spagnola Repsol, Cepsa, Statoil e Anadarko, Conoco (vedi il sito Energia Oltre).

Storicamente, l’avventura algerina dell’Italia è incarnata dalla figura di Enrico Mattei, fondatore e presidente dell’Eni dal 1953 al 1962, nonché strenuo combattente del cartello costituito dalle “Sette sorelle”. Con il suo nome ha battezzato la “Formula Mattei” (la divisione dell’utile al 50% tra paese concedente e compagnia concessionaria) e il Il Trans Mediterranean Pipeline – Transmed, ancora oggi conosciuto proprio come Gasdotto Enrico Mattei: dal deserto algerino, attraversa la Tunisia e il Mar Mediterraneo, per arrivare fino alla Val Padana. Pesarese di nascita (1906), di umili origini abruzzesi, Mattei è diventato “il protagonista forse principale – sicuramente il più riconoscibile, almeno all’estero – del miracolo economico italiano degli anni 50 e 60″, per dirla con Daniel Yergin, considerato tra i massimi storici dell’era del petrolio e autore del Premio Pulitzer “The Prize”. Insieme a Gronchi, Dossetti, La Pira, De Gasperi, rappresentava l’ala progressista della Democrazia cristiana. L’idea di un’autonomia energetica italiana considerata scomoda dagli americani.

Il mistero della sua morte avvolge ancora l’incidente aereo che nel 1962 si è verificato sui cieli di Bescapé, vicino a Pavia, durante un violento temporale, mentre il velivolo era in avvicinamento all’aeroporto di Linate. Oltre ogni ragionevole dubbio, si sarebbe trattato di un attentato. Ma nella sua importante eredità resta anche una frase di grande attualità: “Il futuro è di chi sa prevederlo” (“Enrico Mattei deve morire!”, Alberto Marino, Castelvecchi Edizioni, 2014). E oggi c’è da augurarsi che non si pecchi di lungimiranza nella difficile fase di transizione che attende il paese. Se è vero che L’Algeria è strategico anche per l’Italia, almeno quanto lo è la Libia, da cui arrivano notizie frammentarie circa l’avanzata del generale Haftar nel Sud del Fezzan. Proprio là dove anche Eni è presente con concessioni che arrivano fino al 2042.

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