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Via della Seta, perché è in gioco la sicurezza nazionale. Parla il direttore Molinari

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Non si possono capire i moniti americani sull’adesione italiana alla Via della Seta di Xi Jinping senza allargare lo sguardo alla disputa globale fra Cina e Stati Uniti. Dietro a un  memorandum d’intesa si celano  questioni di sicurezza che rischiano di mettere in discussione la posizione dell’Italia nella Nato. Dal 5G ai porti nell’Adriatico e gli investimenti nelle infrastrutture critiche, le ripercorriamo una ad una con il direttore de La Stampa Maurizio Molinari.

Perché un memorandum sta destando tante preoccupazioni oltreoceano?

Ci sono due motivi. Il primo è macro e riguarda la disputa globale fra Stati Uniti e Cina sulla partita dei dazi e il predominio dei mercati. Donald Trump ha impostato la sua presidenza sulla rivalità strategica con la Cina. Ha vinto le elezioni presidenziali facendo campagna contro la Cina, il furto di posti di lavoro, il fuggi fuggi delle aziende americane nel Dragone. Di conseguenza ogni passo che un Paese alleato fa in direzione di Pechino ha grande peso per l’amministrazione Usa.

E qui arriviamo al caso italiano…

Dove sono emerse due questioni diverse: la gestione della rete 5G da parte di Huawei e gli investimenti nei porti previsti dalla Bri. Il 5G è molto più di una rete veloce, è il passo che supera definitivamente l’era dei cellulari, e soprattutto è una tecnologia “transformational”, una volta applicata non si torna più indietro. Ci sono due aziende al mondo che realizzano il 5G. Una è europea, la svedese Ericsson. L’altra è Huawei, un’azienda cinese, che come tutte le altre aziende cinesi in ultima istanza è proprietà del governo. Il timore degli Stati Uniti è che a installare le reti 5G nei Paesi alleati sia un’azienda che dipende da un governo non alleato.

In effetti nella bozza di memorandum che circola in queste ore si parla di cooperazione nelle telecomunicazioni…

C’è un altro termine che preoccupa gli Usa: interoperabilità. Un esempio può aiutare a capire di cosa si tratta: quando due jet della Nato volano insieme fra loro c’è interoperabilità, ovvero c’è un canale informativo diretto. Questo spiega la reazione di Washington. Creare una rete di telecomunicazioni interoperabile con la rete cinese significa permettere un travaso di dati. Per il momento gli americani si sono limitati a segnalare al governo italiano che il memorandum in discussione è troppo opaco, senza porre ulteriori paletti.

Nel frattempo ha parlato il presidente Sergio Mattarella, che ha rassicurato gli americani sulla scarsa incisività del memorandum. Si aspettava un intervento del Colle?

Non sono sorpreso perché è in gioco la sicurezza nazionale, che in Italia è legata all’interoperabilità con gli Stati Uniti. Senza la protezione militare e cibernetica statunitense il nostro Paese non è protetto. Eccetto il Regno Unito, nessun Paese occidentale è in grado di difendere il proprio territorio senza l’interoperabilità con il sistema di Difesa americano.

Cosa significa, in concreto?

Chi difende il sistema di sicurezza aerea di Malpensa o Fiumicino? La Nato. Chi difende i porti e le infrastrutture elettriche dagli attacchi hacker? Ancora la Nato. Alcuni esponenti del governo hanno risposto alle obiezioni americane proponendo di inserire negli accordi con la Cina delle clausole di sicurezza che consentano a Huawei di installare il 5G ovunque ma non intorno a basi militari e infrastrutture strategiche. Una proposta che non ha convinto gli americani, che hanno spiegato che una tecnologia “transformational” come il 5G, sebbene sia ancora agli inizi, una volta installata non può più essere isolata.

Giorgetti ha detto che il governo valuterà l’uso del golden power. È uno strumento sufficiente?

Così come configurato oggi il golden power non è applicabile al settore delle telecomunicazioni e del 5g. Quella è la strada giusta, ma c’è bisogno di un nuovo decreto legge.

Veniamo all’altra faccia della medaglia: i porti.

Per realizzare la nuova Via della Seta la Cina ha bisogno di porti che ospitino i container e le merci. Specialmente i porti europei: l’accordo stretto due anni fa con il porto del Pireo in Grecia si sta dimostrando poco utile, perché da lì i container devono attraversare i Balcani e non ci sono le ferrovie. Per questo ora i cinesi puntano l’Adriatico, più vicino del Tirreno per raggiungere l’Europa centrale. Ci sono due opzioni sul tavolo: Ravenna e Trieste.

Ma è su Trieste che sono puntati gli occhi degli americani. Perché?

Il timore degli Stati Uniti è che a Trieste si verifichi un takeover come successe con il Pireo.. Tanto in questa trattativa quanto in quella fra le compagnie di telecomunicazioni nazionali e Huawei il nodo cruciale sarà la fase di implementazione dell’accordo, ovvero quale sarà la tipologia scelta.

Sul dossier cinese Lega e Cinque Stelle sembrano aver invertito le posizioni di partenza. I leghisti filo-atlantici, i pentastellati con lo sguardo rivolto a Oriente.

La novità più sorprendente risiede nel legame fra Cinque Stelle e Cina. Il Movimento controlla i dicasteri economici e ha dato il suo avallo per gli appalti del 5g. Credo che la ragione al cuore di questa predisposizione per i cinesi sia soprattutto economica. È l’economia il test più duro per il governo. Siamo alla vigilia del Def, sulla carta mancano ancora 30 miliardi, non escludo che all’interno dei Cinque Stelle vi sia chi crede che i cinesi possano venirci in soccorso.

Con il governo Renzi si aprì una stagione di investimenti cinesi nelle infrastrutture strategiche, penso all’accordo fra State Grid e Cdp Reti. Oggi siamo davvero di fronte a un trend nuovo?

Sì, questa postura filocinese non era mai stata definita in termini strategici. Fu Paolo Savona il primo a sostenere di fronte al Parlamento che i fondi sovrani cinesi avrebbero potuto aiutarci in un momento di crisi finanziaria. C’è un problema in questa impostazione. Certo, la Cina è un colosso finanziario e in teoria può esserci d’aiuto. In pratica però il modello commerciale cinese, lo dimostrano gli accordi siglati con i Paesi inclusi nella Bri come lo Sri Lanka o il Kenya, è di tipo mercantilistico.

La famosa trappola del debito…

Esatto, è una riedizione della politica commerciale britannica di fine ‘800. Non c’è dubbio che la globalizzazione sia un fenomeno positivo, ed è giusto e auspicabile coinvolgere i cinesi, purché rispettino le regole dei Paesi partner.

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