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L’Italia di fronte alla Cina. Perché non sottovalutare le differenze culturali

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In questi giorni  è forte il dibattito sul fatto se l’Italia debba o meno firmare un memorandum of understanding con la Cina relativo al progetto cinese della così detta nuova via della seta. Se lo dovesse fare, l’Italia sarebbe il primo paese del G7 a firmare tale memorandum of understanding. Da Washington e da Bruxelles sono pervenuti all’Italia segnali preoccupati.

Sono personalmente convinto che questi segnali di preoccupazione siano più che giustificati, ben al di là delle motivazioni ufficialmente dichiarate. Sulla Cina penso si debba avere il coraggio di essere chiari a costo di non essere politicamente corretti.

La Cina sta riversando sui mercati una massa ingente di risorse finanziarie con cui condiziona i mercati stessi. È stato già da più parti osservato che queste risorse sono accumulate al di fuori del rispetto delle regole di mercato. Citiamo qui tre dei punti principali di tale mancato rispetto: (i) il diritto di proprietà che in effetti è solo un diritto d’uso facilmente revocabile da parte del potere politico, (ii) il dirigismo dell’economia cinese che è tutt’altro che privata (tutto è guidato da un comitato di 120 grandi gruppi pubblici attorno ai quali girano le così dette aziende private), (iii) il mancato rispetto dei principi di sicurezza sociale dei lavoratori (che si traduce in costi di produzione molto più bassi, generando una sorta di dumping economico-sociale).

Il problema non si limita al mancato rispetto delle regole di mercato ma alla cultura economico-organizzativa che caratterizza il modo di lavorare dei cinesi. Citiamo qui due fattori fondamentali : (a) l’impresa non è concepita come una entità autonoma dal suo ambiente, entità che deve pagare per le risorse che usa (risorse che le possono essere date anche a costo zero); (b) i contratti non sono concepiti come la definizione di prestazioni e contro-prestazioni ma come un processo infinito di negoziazione.

Sin qui siamo su un terreno ufficialmente battuto da molti. Penso che si debba avere il coraggio di andare oltre e di dire che i cinesi dispongono di vaste risorse non perché sono più efficienti ed efficaci degli occidentali (magari perché non rispettano le regole di mercato) ma perché spremono un miliardo e mezzo di persone in un modo da noi inconcepibile. Quando i paesi dell’occidente si estesero nei territori di Asia e Africa in effetti lo fecero perché avevano accumulato in patria risorse che permettevano l’espansione. Con l’espansione l’occidente portò una modalità di organizzazione sociale e del lavoro estremamente più efficace nei paese colonizzati.

I cinesi portano con loro non solo un sistema antidemocratico ma anche un sistema incredibilmente inefficiente. Qui il rischio è che, facendo leva sulle disponibilità finanziare generate grazie alle megadimensioni a tassi di efficienza bassissima, la Cina imponga all’occidente la sua modalità di organizzazione sociale e del lavoro.

C’è una ulteriore domanda che dobbiamo porci. Ma la Cina durerà, sopravvivrà alla sua crescita o non sperimenterà qualcosa di simile all’esplosione dell’Unione Sovietica? La Cina, molto più dell’Unione Sovietica, confonde accentramento con programmazione e non sa avvalersi delle regole. Ogni piccola decisione della periferia deve essere avvallata al centro. Questo comporta il fatto che il centro diventa presto un collo di bottiglia. Nel mondo occidentale questo problema è affrontato con il decentramento. Decentramento che significa che tutta una serie di decisioni, diciamo routinarie, vengono decentrate in periferia dove la periferia non deve chiedere autorizzazioni al centro ma deve rispettare alcune regole predefinite. Orbene è su questa carenza di regole che il sistema cinese è molto debole.

Questa carenza di regole è contemporaneamente la causa dell’estrema inefficienza del sistema cinese ma anche della sua instabilità. Il rapido tasso di crescita non permette più che in periferia  si possano attendere i lunghi tempi di decisioni accentrate. Quindi la periferia agisce in maniera sempre più indipendente, Questo fatto, accoppiato con la incapacità di garantire un coordinamento basato su regole,  non lascia presagire niente di buono.

Il rischio di sfaldamento è aumentato da una peculiarità della lingua cinese: il fatto che la lingua cinese è scritta con caratteri ideografici e non fonetici. Questo significa che lo stesso carattere è pronunciato in maniera diversa in ogni regione.  Le regioni (o meglio le province, ognuna delle quali conta decine di milioni di abitanti) cominciano ad agire sempre più autonomamente, senza aspettare il beneplacito dal centro. Stanno diventando delle realtà caratterizzate da una identità sempre più marcata.

Il nostro governo non dovrebbe sottovalutare il fatto che legarsi alla Cina con un memorandum of understanding  di natura economica ha  una serie di conseguenze dovute a fattori culturali. Tra queste conseguenze ne rammentiamo qui due: l’imposizione di un modello organizzativo estremamente arretrato ed inefficace, da una parte, e il rischio altissimo di legarsi ad una entità che pare destinata ad esplodere, per la sua incapacità intrinseca di gestire lo sviluppo. Qui la scelta di campo è, non solo una scelta di politica estera, ma una scelta di civiltà

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