Altro che affari domestici. Gran parte della stampa internazionale ha i riflettori puntati sulla visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma. L’adesione di un alleato Usa e Paese G7 come l’Italia alla Belt and Road Initiative è la notizia geopolitica del giorno. Mentre si susseguono senza interruzioni i moniti da Washington, l’ultimo ieri all’ambasciata Usa a Roma, quando l’inviato speciale in Venezuela Elliott Abrams ha definito la Nuova Via della Seta “un progetto che non ha prodotto i vantaggi annunciati ed è circondato da enorme corruzione”, gli opinionisti già guardano alle conseguenze della firma italiana sul memorandum. Un articolo a fil di spada del corrispondente del New York Times a Roma Jason Horowitz si concentra sulla vexata quaestio del porto di Trieste e definisce l’arrivo dei cinesi nel terminale friulano “una crepa nell’alleanza economica che un tempo dominava il globo e dà un colpo importante a un’amministrazione Trump che è stata critica nei confronti dell’iniziativa Belt and Road”. Si allinea il Washington Post, che considera il sì del governo italiano come “un’immensa legittimazione del progetto” e cita un alto ufficiale della Casa Bianca secondo cui la Bri sarebbe “un piano vuoto”. Scettico anche Gzeromedia, il portale del noto analista americano e direttore dell’Eurasia Group Ian Bremmer. Xi Jinping sarebbe “pronto a piantare una bandiera nel cuore dell’Europa”. Il rischio dietro l’angolo è l’ormai nota “trappola del debito” che si cela dietro i prestiti cinesi nell’ambito della Bri. “L’Italia è già il secondo Paese più indebitato di Europa, e a differenza di economie molto più piccole come la Grecia, una crisi sistemica lì può scuotere l’intera Eurozona”.
L’accordo Cina-Italia è accolto con stupore anche da questa parte dell’Atlantico. La stampa britannica manifesta più di qualche perplessità. Ci va giù durissimo Roger Boyes, firma di punta del Times. “A 74 anni di distanza dall’ignobile morte del Duce torna in città un nuovo campione del nazionalsocialismo, portando con sé doni sotto l’effigie della Belt and Road Initiative, con l’intento non di ravvivare l’Italia bensì di spezzare l’Europa”. Sbaglia, sibila l’editorialista, chi paragona la Bri a un nuovo Piano Marshall. Il piano cinese è piuttosto “un dispositivo che permette alla Cina di pelare una cipolla chiamata Occidente sfoglia dopo sfoglia”. Più chirurgico il Guardian, che si limita a dare la notizia non senza ricordare che la Bri è stata ampiamente criticata “per beneficiare soprattutto le aziende cinesi e per causare potenziali trappole del debito nei Paesi più poveri”. Al dossier cinese il Financial Times, quotidiano britannico da sempre specchio di umori e malumori della finanza internazionale, dedica la sua “Big Read”. L’Europa ha iniziato a muoversi per vagliare con più attenzione le mire cinesi, scrive Michael Peel. Questi sforzi saranno però compromessi dall’ “esplosione di attività diplomatica cinese nel continente” e specialmente dall’adesione italiana alla Bri, un vero “colpo diplomatico per Pechino”.
Sulle colonne dei principali quotidiani francesi si parla di Italia e Cina. La visita di Xi e l’endorsement italiano, spiega Le Monde, suonano un campanello d’allarme a Bruxelles. “È giunto il momento per gli Stati membri di accordarsi per una nuova risposta europea alle ambizioni – e alle ambiguità – cinesi, sotto forma di un piano d’azione”. La Via della Seta, chiosa La Croix, “mette i Paesi aderenti in una condizione di dipendenza dai cinesi”. L’ok di Palazzo Chigi, continua il foglio conservatore, “romperà il fronte dei grandi Paesi europei che si sono tutti mostrati reticenti a partecipare”. Le Figaro riporta invece fonti dell’Eliseo che calano il sipario su un’adesione francese alla Bri, perché “alcuni Paesi firmano impegni che vanno troppo oltre”. Per un sentore russo della vicenda basti leggere l’editoriale di Sputnik a firma Paolo Raimondi. Allarmismi ingiustificati, si legge sul sito. Anzi, l’Italia prenda esempio dalla Germania, che è andata avanti sul Nord Stream 2 nonostante le avvisaglie della Casa Bianca sulla dipendenza politica da Mosca che quel gasdotto può creare. “Nessuno in Germania si permette di dire che adesso Berlino sia caduta nella morsa dell’”orso russo. Sarebbe una sciocchezza, così come lo sarebbe se si dicesse che l’Italia abbandona i suoi tradizionali alleati per correre tra le braccia dei cinesi”.
Dalla Cina non possono che giungere voci entusiaste. Ecco che allora il giornale ufficiale del Partito comunista cinese People’s Daily si abbandona a toni lirici lodando la magnificenza del progetto Bri: “niente è più importante per la pace nel mondo e la prosperità che costruire le neessarie infrastrutture nel mondo in via di sviluppo, specialmente nei Paesi più poveri”. Una riedizione del mantra cinese della cooperazione “win-win”, dove tutti vincono e nessuno perde, almeno sulla carta. Gli fa eco la costola internazionale del foglio di partito, il Global Times, che titola fiducioso: “La visita di Xi in Italia, Monaco e Francia inietterà un nuovo impeto nelle relazioni fra Cina e Ue”. C’è anche però chi, a due passi dalla Cina, solleva dubbi sul piano infrastrutturale e mette in guardia l’Italia. È il caso del lettissimo quotidiano di Hong Kong Asia Times, che spiega come memorandum e contratti firmati finora “sono stati poco chiari” e pone l’accento sulla vera portata di un’adesione italiana: “eleverà finalmente la Bri al rango di progetto globale portandola su tutto un altro livello”.