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L’Italia si faccia valere in una Europa a trazione tedesca

groko

La bagarre suscitata recentemente dalle dichiarazioni del ministro Tria secondo cui l’Italia, a suo tempo, fu costretta ad accettare il bail in bancario perché ricattata dai tedeschi non mi convincono. Lo stesso ministro Tria ha susseguentemente corretto le sue affermazioni. Il ministro Saccomanni (quello che, a suo tempo, sarebbe stato ricattato) ha corretto il tiro di quanto detto da Tria. Anche le dichiarazioni del ministro Saccomanni mi lasciano dubbioso.

Ho una certa conoscenza di quello che si sviluppa nei corridoi dello justus lipsius (così è chiamato il palazzo dove risiede il consiglio dell’Unione, in omaggio ad un filosofo belga) e le affermazioni, più o meno ritrattate, di Tria e di Saccomanni mi portano a sospettare che i due ministri nei corridoi dello justus lipsius siano abbastanza disorientati, una sorta di pesci fuor d’acqua.

Sino ai Trattati di Lisbona, il Consiglio, di fatto, decideva all’unanimità. Il clima che regnava era di estrema cordialità e i lavori miravano alla ricerca di un consenso che soddisfacesse tutti. Dai Trattati di Lisbona si è passati alla modalità decisionale basata sulla maggioranza qualificata. Orbene come viene calcolata questa maggioranza qualificata? I criteri sono due e vanno cumulati. Ogni stato membro conta per uno. La maggioranza qualificata viene raggiunta sole se gli stati membri che votano a favore rappresentano per lo meno il 65% dei cittadini dell’unione. Per dare un’idea, secondo l’ultima verifica del 2017, i cittadini tedeschi sono il 16,12% del totale, i cittadini italiani l’11,92%, quelli francesi il 13,10%, quelli polacchi il 7,40%, quelli spagnoli il 9,09%, quelli ungheresi l’1,91%. I tedeschi sono imbrigliati nel meccanismo decisionale dell’Ue molto di più di quanto lo sarebbero se fossero fuori dalla Ue e dai suoi meccanismi decisionali.

I meccanismi formali di decisione non rendono, peraltro, giustizia al clima che vige nei corridoi del consiglio. Anche se l’unanimità non è più richiesta, la filosofia che prevale è quella del pooling of authority, la ricerca, cioè, del consenso proprio per rispettare la sovranità degli stati membri. Le riunioni dei ministri sono precedute e preparate dalle riunioni dei comitati di esperti nazionali (sono ca. 266) e, laddove in seno a questi comitati non si dovesse raggiungere un accordo, si passa al comitato dei rappresentanti permanenti (coreper) e, solo se anche in seno al coreper non si raggiunge un accordo, il dossier è rinviato al riunione dei ministri competenti.

Orbene durante i lavori dei comitati di esperti e del coreper una frase ha il potere magico di sospender i lavori: “This issue would be a problem for my minister”. I lavori vengono sospesi e i negoziati proseguono dalle varie capitali (qui i dettagli).

Mi viene il dubbio che il problema risieda altrove, e più specificatamente nella scarsa conoscenza delle lingue dei nostri esperti, prima, e dei nostri ministri in ultima battuta. Al consiglio non è previsto l’interpretariato in tutte le 24 lingue ufficiali dell’Ue ma solo tra inglese, francese e tedesco. I nostri funzionari esperti e, sopra tutto, i nostri ministri qui sono veramente messi male, sono poco più che dei sordomuti. Non mi meraviglierebbe se una osservazione da collega a collega (del tipo “ma, se non accettate il bail in, come reagiranno i mercati?) Sia stata percepita, dai nostri disorientati ministri, come una minaccia.

Più in generale il ruolo della Germania è generalmente sopravvalutato sia dai nostri politici che dai nostri commentatori, in maniera veramente fuorviante. Non posso fare a meno qui di rammentare il fatto che molti nostri commentatori rimproverano alla Germania di non trasformare in investimenti pubblici il surplus della bilancia dei pagamenti tedesca. Mi domando se questi commentatori (tra cui si annoverano esperti di chiara fama) siano consapevoli della differenza che esiste tra bilancia dei pagamenti e bilancio statale.

La Germania ha, comunque, un ruolo pesante nella Ue, ma non tanto per la sua preponderanza, presunta ma inesistente di fatto, nei meccanismi decisionali quanto per la sua valenza culturale. Alla corte di giustizia di Lussemburgo è la giurisprudenza tedesca (declinata in francese) a prevalere (qui i dettagli). Le categorie dei profili professionali del mercato del lavoro, quelle dello European qualification framework sono quelle tedesche. La stessa architettura “costituzionale” della Ue risente pesantemente della cultura costituzionale tedesca; basti pensare al meccanismo di conciliazione tra proposte del consiglio e proposte del parlamento, meccanismo che ricalca il meccanismo di conciliazione tra posizione del bundestag e del bundesrat.

Il diritto del lavoro comunitario si ispira ai principi germanici, laddove le direttive in materia di diritto del lavoro non vengono prodotte dal circuito commissione, consiglio parlamento ma dalle rappresentanze paritetiche di datori di lavoro e sindacati. Lo statuto d’impresa europeo ricalca il modello di mitbestimmung tedesco.

Su questo versante c’è poco da fare. Mentre dovremmo essere più efficaci nelle fasi di negoziazione evitando di piangerci addosso.


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