Beppe Grillo ha interpretato il malessere economico e sociale dell’Italia, prima in chiave comica e poi in chiave politica, e lo ha canalizzato in una critica radicale all’intero sistema, fondata su questioni concrete, scisse dalle tradizionali ideologie e veicolate attraverso gli spettacoli e il web. La forza della dottrina grillina è stata l’empatia e la comunicativa del comico, capace di coinvolgere masse di persone su temi complessi, risolti apparentemente con grande semplicità, in piena sintonia con l’essenzialità del linguaggio moderno e in particolare telematico.
Il popolo grillino è cresciuto rapidamente, unito dal vincolo emotivo con Beppe Grillo e da una vaga speranza di riscatto economico, sociale e morale del Paese. Il Movimento 5 Stelle ha riunito sotto un’unica bandiera i fan del comico, recependo le critiche radicali al sistema e promettendo soluzioni rivoluzionarie ai problemi. In una prima fase, la rabbia e le speranze di molti italiani hanno decretato il successo elettorale del Movimento. Ma il consenso poggiava su basi fragili, perché derivava dalla sommatoria di promesse su singoli temi, non mediate tra di loro, non inserite in una politica socioeconomica nazionale, non supportate da una adeguata presenza sui territori.
Quando è andato al potere, il Movimento si è dovuto confrontare con i fatti concreti, con i vincoli economici, con le valutazioni scientifiche, con le ragioni delle imprese, con i rapporti internazionali. E la bolla è scoppiata: le promesse sono state largamente disattese, le speranze sono andate in gran parte deluse; e così, in mancanza di un contenitore ideologico delle proposte grilline o almeno di un sistema di pensiero coerente al suo interno, molti sostenitori si sono sentiti traditi e hanno interrotto il rapporto emotivo e politico che li legava al Movimento.
E siamo ad oggi. I 5 Stelle di governo non possono essere il martello del popolo che abbatte il palazzo del vecchio potere, perché sotto le macerie rimarrebbe l’intero Paese; ma così non canalizzano più la rabbia sociale e spengono la spinta emotiva dei loro sostenitori. I 5 Stelle di governo non possono dare soldi a tutti quelli a cui li hanno promessi, e nemmeno nell’ammontare che hanno promesso, perché scardinerebbero il bilancio dello Stato; ma così perdono i voti clientelari. I 5 Stelle di governo non possono creare lavoro per decreto e appaiono incapaci di sostenere la crescita economica; ma così tradiscono le promesse e rinunciano al consenso di una significativa quota di giovani, di lavoratori, di imprenditori e di professionisti, toccati nei loro interessi vitali.
I 5 Stelle non possono rimanere duri e puri nelle loro rivendicazioni politiche né contrastare la Lega sull’immigrazione e la sicurezza, perché chiuderebbero l’esperienza del governo gialloverde e, in assenza di alternative praticabili, andrebbero a elezioni anticipate che li penalizzerebbero; ma così perdono consensi nell’area di sinistra e movimentista. I 5 Stelle non possono seguire i No Tap, i No Vax, i No Tav, perché andrebbero contro il buon senso, le analisi scientifiche, gli interessi nazionali e gli impegni internazionali; ma così prendono le distanze da gruppi di sostenitori. E allora che fare?
C’è una fase in cui i movimenti possono diventare istituzione, i partiti di opposizione radicale divenire partiti di governo. Ma bisogna scegliere consapevolmente, attraversando una trasformazione che può essere difficile e dolorosa, segnata anche da perdite di consenso, scissioni e contestazioni; e poi presentarsi agli elettori con trasparenza e idee chiare. Questa è la sfida che ha di fronte il Movimento 5 Stelle: essere o non essere un partito di governo, tener conto dei vincoli istituzionali, scientifici ed economici, oppure perseguire tesi aprioristiche e movimentiste, incompatibili con responsabilità di governo.
Il passaggio non è facile, senza dubbio. Tanto più che l’attuale dirigenza del Movimento è sostanzialmente oligarchica e non inclusiva, e quindi poco democratica ed esposta agli attacchi di quanti non si sentono ascoltati e rappresentati. Ma è una scelta inevitabile, dalla quale può nascere un Movimento di governo, eventualmente ridimensionato elettoralmente ma consolidato politicamente; oppure può riemergere un Movimento di opposizione radicale, centrato sulla critica e il controllo dell’esecutivo e dei “poteri forti”. Rimanere a metà del guado, incerti sull’identità e la funzione del Movimento, sarebbe una scelta miope e pericolosa, perché farebbe perdere consensi sia a destra che a sinistra, aggraverebbe la confusione sull’identità dei 5 Stelle e, cosa più importante, impedirebbe politiche di governo ragionevoli ed efficaci.