Comunque la si pensi, e quale che sia l’opinione sul presidente francese Emmanuel Macron, non si può negare che nella sua intervista a Fabio Fazio abbia cercato di ammaliare gli italiani parlando al cuore di un popolo amico.
Le recenti incomprensioni politiche e diplomatiche hanno in qualche modo incrinato l’antico rapporto, ma non certo nei due popoli. Sono state le classi politiche a sviluppare un contenzioso che, dopo il richiamo dell’ambasciatore a Roma, sembrava aver imboccato una strada senza apparente via d’uscita. Macron, la cui intelligenza politica, nutrita da una cultura difficilmente riscontrabile in altri uomini di Stato in circolazione in Europa, si è diffuso sulla “tragedia” delle democrazie derivante dalla incomprensione di mutamenti sociali, economici e culturali intervenuti negli ultimi anni. E non ha dato per scontato che la democrazia stessa, come l’abbiamo conosciuta, possa essere salvata senza ripensarla.
Indubbiamente un discorso pregnante e da valutare, in tutti i suoi aspetti, non certo come propagandistico. Perfino chi, come noi, non ha risparmiato a Macron durissime critiche, ha il dovere di riconoscere che ha posto questioni nodali rispetto alle quali una certa povertà politica (anche in Italia) non se la può cavare liquidandolo come “l’uomo dei poteri forti”, “il presidente dei ricchi”. Certo, sarà (lo è) anche tutto questo, ma non solo. La sua visione dell’Europa è contestabile, ma non corbellandola con epiteti che appartengono poco al patrimonio delle relazioni diplomatiche e del conflitto delle idee, bensì contrapponendole una diversa concezione della riforma istituzionale dell’Unione a meno che non s’intenda buttarla in vacca e scaricare l’Europa nell’immondezzaio delle inservibili carabattole. Questo non è accettabile.
C’è “amore” tra Italia e Francia? Indubbiamente, giudicando dalla storia dei rapporti tra i due Paesi. Eppure “ci sono differenze che fanno anche la nostra ricchezza e il nostro fascino reciproco. Quando lo dimentichiamo – ha detto Macron – non c’è vero amore e quindi c’è un malinteso”. Dunque, le ultime dispute (a volerle derubricare) fanno parte della dialettica che – se, come è accaduto – scade nella “sfida” che alcuni governanti italiani hanno lanciato a Macron cercando alleanze “improprie” con “insurrezionalisti” francesi (poi il poco decoroso passo indietro ha confermato la gaffe – chiamiamola così – politica), è chiaro che la situazione diventa quanto meno complicata.
Quei gilet gialli – molto autonomi dal movimento – che Di Maio e Di Battista incontrarono agli inizi di febbraio a Parigi, si presenteranno alle elezioni europee. Non sembrano molto apprezzati, in verità. In Francia è proprio quell’ondata di proteste che fece traballare Macron ad essere in crisi, una crisi di rigetto: dopo diciotto settimane di manifestazioni, la gente si è stufata anche perché nulla hanno prodotto le sfilate, i tumulti, gli incidenti. La Francia ha bisogno di un’opposizione credibile, non di un populismo fine a se stesso, come del resto in Italia, che non trova neppure lo spazio per darsi un minimo di organizzazione.
Le intemperanze degli ultimi due mesi hanno prodotto il risultato di far crescere Macron – mentre negli ultimi due mesi era arrivato ai livelli più bassi nei sondaggi rispetto ai suoi predecessori – ed i francesi hanno capito che l’obiettivo dei gilet gialli non era quello di mettere in evidenza le incongruenze del nuovo potere, quanto di minare la Quinta Repubblica, ben oltre le intenzioni dei promotori. I quali, ovviamente, si presenteranno alle europee distinti e distanti dai “disastrati” fuoriusciti dalle ali estreme del sistema politico francese.
È di tutta evidenza che non basta un’intervista televisiva (anomala in tutti i sensi) al presidente francese per ricomporre i non pochi dissidi tra i due Paesi che sarebbe stupido sottovalutare. Tuttavia, l’approccio di Macron è stato “aperto” e rispettoso. “Le peripezie più recenti per quanto mi riguarda non sono gravi. Bisogna andare oltre”, ha sostenuto. Aggiungendo che “Ci sono state affermazioni un po’ eccessive”, tralasciando che anche da parte sua e del suo governo non sono stati recati mazzolini di fiori all’Italia sia sulla questione dei migranti che su quelle più specifiche di carattere economico.
Oggi il presidente francese ammette che sulla questione dell’accoglienza degli immigrati “l’Europa ha una responsabilità in tutta questa situazione europea e italiana perché non ha saputo ascoltare che un Paese, a causa della geografia, aveva un fardello troppo importante per sé”: furbizia gallica? Può darsi, fa parte del gioco. Ma non si può dire una cosa del genere ricordando poi che l’Unione Europea è composta da Stati nazionali i quali hanno esigenze diverse. E qui, come si dice, casca l’asino. Il discorsetto ben confezionato di Macron sbatte contro l’ammissione delle specificità che la “sua” Unione, o meglio l’idea che ne ha, contraddice palesemente. Dunque, piuttosto che svilire gli assunti non meno dignitosi dei suoi propositi dai cosiddetti “nazionalisti” europei (mai tanta disgrazia semantica e politica ha avuto questa parola sulla quale una riflessione bisognerà pur farla…) sarebbe il caso di riflettere sui disastri provocati dall’euroburocrazia ed aprire una discussione senza frontiere sull’ipotesi di una confederazione europea. Ma queste sono questioni che non si affrontano in una trasmissione televisiva.
Chi si attendeva un Macron rissoso contro Salvini, Di Maio, le Lega e i Cinque Stelle è rimasto deluso. Da un presidente ci si deve aspettare ben altro. Ed il copione è stato rispettato, forse in ossequio anche al presidente Mattarella che ha intelligentemente e saggiamente agito ai fini di una ricomposizione nelle scorse settimane.
Resta una dichiarazione d’amore dall’intervista. E Macron ci sa fare perché dell’uomo tutto si può dire tranne che non sia fornito di buone letture e di un ascolto costante della buona musica. Come diceva Richard Wagner :“Quando le parole non bastano più, resta soltanto la musica”. E forse Macron, per riguadagnare la soglia del 25% dei consensi (non molto in verità) ha atteso ascoltando l’amato Chopin, mentre fuori imperversava la battaglia. En Marche! ci sorprenderà ancora, nella buona e nella cattiva sorte.