Zingaretti ha vinto le primarie del Pd con un largo consenso, contro due candidati che sono stati stretti collaboratori di Renzi. Questo significa che la base del partito vuole chiudere la stagione Renzi e tagliare i ponti con il gruppo dirigente che ha gestito il Pd fino alla debacle delle elezioni del 2018. Il nuovo segretario avrà un bel da fare a gestire il cambiamento di leadership in presenza di gruppi parlamentari composti in buona parte da persone vicine a Matteo Renzi; ma la forza del consenso ricevuto lo mette in grado di operare efficacemente.
Nel contempo, l’ampia convergenza di voti su Zingaretti indica una volontà degli attivisti Pd di sostenere il candidato che si sapeva essere più forte, per cercare di consolidare una leadership e superare le divisioni interne che hanno ostacolato l’azione del partito. In tale situazione, il nuovo segretario dispone di un ingente capitale politico, da spendere per un programma tutto da scrivere, posto che le candidature alle primarie non si sono caratterizzate per significative differenze di contenuti. Ed ora, di fronte alla dichiarata volontà di non accedere a ipotesi di governo con i 5 Stelle nel caso di crisi dell’attuale esecutivo, Zingaretti ha l’opportunità e l’obbligo di costruire un progetto politico di ampio respiro, per riconquistare i consensi perduti e presentarsi con una linea chiara e forte alle future elezioni nazionali.
Il passaggio è decisivo. Zingaretti, per quanto emerge dalle sue dichiarazioni e dalla sua storia, è uomo di apparato, con idee e consuetudini che lo possono portare, prima di ogni altra opzione, a cercare di recuperare i voti perduti, facendo leva sull’identità della sinistra italiana, in qualche modo abbandonata o rinnovata dall’esperienza Renzi. E quindi a promuovere un rilancio del partito sotto le bandiere dello Stato sociale, della spesa pubblica, dell’accoglienza, della solidarietà, dei diritti umani, del multiculturalismo, dell’antifascismo. Con la conseguente contrapposizione alle politiche di contenimento dell’immigrazione di massa, di liberismo economico, di innovazione nel mondo della scuola e del lavoro.
In tal modo la nuova segreteria Pd potrebbe far tornare a casa quegli elettori che si sono allontanati perché si sono sentiti traditi, nelle loro convinzioni più profonde, dalla politica smart di Renzi, centrata sull’innovazione e sulla competizione, disattenta ai rapporti con i sindacati, lanciata verso un futuro che sembrava voler dimenticare il passato. Ma nello stesso tempo, un ritorno al passato significherebbe abbandonare gli elementi di riformismo che hanno caratterizzato la segreteria Renzi, come tentativi di mediare le concezioni ideologiche dell’economia e della società con una realtà in rapida trasformazione.
Renzi è andato incontro a una disastrosa sconfitta perché ha sbagliato alcune mosse essenziali: la gestione dell’immigrazione ha fatto perdere voti nell’area moderata del partito; l’inadeguata promozione delle politiche del lavoro e della scuola ha fatto perdere voti tra i giovani e a sinistra; l’incapacità di mostrarsi sensibili ai problemi dei più deboli ha demotivato gli elettori attenti al disagio sociale; la difficoltà a contrastare l’identificazione del Pd con la casta ha alienato consensi di piazza; la sconfitta nel referendum costituzionale ha incrinato la fiducia della base. Ma le politiche economiche e del lavoro del governo Renzi non meritano solo critiche, essendosi fatte carico di uno sforzo di adeguamento culturale e organizzativo del sistema Paese, per cercare di metterlo al passo con la competizione internazionale, nell’ambito di stringenti vincoli di bilancio.
La nuova segreteria del Pd può arroccarsi all’opposizione e lanciare nell’agone politico i suoi tradizionali cavalli di battaglia ideologici, compattando il fronte interno e rinunciando alla prospettiva di un riformismo moderno e liberale, così tenendosi stretti i voti della sinistra tradizionale e abbandonando una quota significativa di voti moderati e riformisti. Oppure può continuare il difficile percorso iniziato, pur segnando differenze personali e di metodo con la segreteria Renzi, nella prospettiva di ricreare un partito di governo, capace di catalizzare le istanze del centrosinistra, mediando tra socialismo e liberalismo, tra ideologia e pragmatismo, tra deficit e vincoli di bilancio, tra umanitarismo e limiti all’immigrazione, tra statalismo e mercato.