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Usa e Russia verso una nuova Guerra Fredda?

Di Enrico Casini
turchia

Qualcuno ricorderà alcuni film, usciti negli anni ottanta, come The Day After o Wargames, che con stile, contenuti e generi molto diversi tra loro, rappresentavano bene il clima e le paure legate, durante la Guerra fredda, al pericolo incombente di una possibile guerra nucleare e della mutual assured destruction (Mad). Una costante, per gran parte degli anni in cui il mondo rimase diviso dalla cortina di ferro.
Infatti il rischio di un conflitto atomico è stato, fin dagli anni quaranta, un tema di ampia diffusione nella società, nella politica e nella cultura, al pari della convinzione opposta, diffusa in alcuni ambienti politico-militari del tempo, che fosse proprio la minaccia nucleare a garantire la pace nel mondo. Nessuno avrebbe iniziato una guerra che rischiava di non poter vincere, si diceva. Ma qualche volta, come in piena crisi dei missili a Cuba, la guerra si rischiò comunque davvero.

Il tema della minaccia nucleare, durante la Guerra Fredda, ha comunque condizionato notevolmente la vita, le idee, le scelte delle persone che vissero quei giorni. I rischi o le conseguenze possibili di un’apocalisse atomica sono stati elementi presenti nell’opera di tanti autori e artisti, da scrittori come George Orwell, Philip K. Dick, Ray Bradbury, Arthur C. Clarke, a registi come Stanley Kubrick o George Miller, solo per citarne alcuni. Del resto la corsa alle armi atomiche e la deterrenza hanno incarnato a lungo, e molto bene, il senso di quel tempo. La forza evocativa e ideologica della “bomba” è stata enorme: il cuore di un sistema di competizione e di equilibrio mondiale tra potenze che contrapponevano tra loro modelli politici ed economici alternativi. Per questo motivo, non fu forse un caso se proprio negli anni Ottanta la firma dei primi trattati che sospendevano la corsa all’atomo, determinarono in poco tempo anche la fine della tensione e della Guerra Fredda.

Dopo il ritiro sovietico dall’Afghanistan, e dopo il collasso dell’Urss nei primi anni novanta, la Guerra Fredda è diventata un ricordo, e con essa si è in gran parte persa dalla memoria collettiva la paura per la guerra atomica. Ma in realtà, la corsa all’armamento nucleare è rimasta un’ambizione per chi, nel mondo, coltiva l’intenzione di guadagnarsi un ruolo da potenza. E, a oggi, nove paesi nel mondo fanno parte del club atomico.

Film, romanzi, fumetti sull’apocalisse nucleare non se ne sono più visti molti, ma la minaccia atomica è rimasta viva, non solo per le migliaia di bombe ancora oggi esistenti, ma anche per chi, proprio in anni recenti, ha cercato di dotarsi di un proprio arsenale atomico.

Infatti se trattati internazionali sulle armi nucleari e protocolli di collaborazione per il loro smaltimento hanno messo in sospeso la corsa delle superpotenze tradizionali, questo non ha significato lo stesso per altri paesi, fuori da trattati e accordi internazionali, che nel corso degli ultimi venti anni hanno invece agito di propria iniziativa per dotarsi della bomba o per rendere evidente la minaccia di essere in grado di farlo. Da chi ci è riuscito, come il Pakistan o la Korea del Nord, o chi ha continuato ad investire per potenziare il proprio arsenale e i propri mezzi a disposizione, come la Cina, a chi, invece, è sospettato di volerci arrivare, come l’Iran: lunga è la lista di coloro che sognano la bomba o si potrebbero adoperare per averla. Probabilmente potrebbe non comprendere solo stati e potenze regionali, ma anche qualche organizzazione non-statuale o terroristica, apparsa sulla scena mondiale nel post-guerra fredda, che potrebbe provare a impossessarsi dei componenti necessari non sufficienti a creare un arma atomica reale, quanto magari una bomba sporca, capace di distruggere una città con un attacco kamikaze. La minaccia terroristica infatti potrebbe riguardare le armi atomiche, come tutte le armi di distruzione di massa esistenti.

Per molti anni, durante l’epoca unipolare a guida americana, e poi negli anni più intensi della guerra globale al terrorismo, ci siamo dimenticati di quale fosse il clima della Guerra Fredda e di cosa significasse vivere sotto la minaccia incombente del fungo atomico. Sebbene sia trascorso molto tempo, la minaccia nucleare non è superata, e fatti recenti, come la crisi tra Usa e Korea del Nord o le accuse rivolte all’Iran o infine i recenti attriti con la Russia sul tema dei missili SS-8, ci ricordano bene quanto sia presente.

Qualcosa però, a livello internazionale, nel corso degli ultimi anni, sembra essere cambiato, e il ritorno di una nuova forma di deterrenza, fondata anche sul possibile inizio di una nuova corsa all’arma atomica, ci conferma questa tendenza. Per questo abbiamo il timore, che quanto sta accadendo intorno a noi, possa portarci sempre più velocemente verso una contrapposizione globale sempre più aspra, che qualcuno immagina come una sorta di “nuova Guerra Fredda” tra le potenze odierne.

Senza esagerazioni, e con le dovute differenze, è indubbio che a livello internazionale si stia affermando un clima, nuovo, di rivalità e competizione strategica, unitamente al tentativo di mettere in discussione l’influenza e la guida globale americana, affermatasi proprio dagli anni Novanta in poi. E i segnali per l’avvio di una nuova competizione anche sul versante nucleare, dopo quello già avviato sul piano economico e tecnologico, vi sono tutti. Oggi però la tensione cresce, o rinasce, non solo tra Usa e Russia, ma anche e soprattutto verso la Cina, e coinvolge altri paesi che nutrono ambizioni regionali di discreta fattura, come l’Iran o la Korea del Nord o la Turchia (e vedremo presto anche in Sud America se cambierà qualcosa con il nuovo corso brasiliano).

Questo clima si è prodotto a partire soprattutto dal momento in cui sulla scena globale hanno fatto la loro comparsa da un lato una versione più muscolare della Russia, e dall’altro la Cina ha rivendicato un proprio ruolo globale, soprattutto con la guida di Xi Jinping. La vicenda Ucraina poi ha riaperto una frattura nel cuore dell’Europa tra paesi del blocco occidentale e Russia, ancora oggi aperta.

All’Ucraina ha fatto seguito la crisi in Siria, diventata una guerra per procura di portata regionale, con i suoi effetti destabilizzatori in tutto il Medio Oriente, mentre sul versante asiatico, si assisteva al riaprirsi della crisi tra Usa e Korea del Nord, e al confronto strategico sempre più intenso, tra USA e Cina, giunto ai giorni nostri, alla guerra commerciale e alla vicenda Huawei. E infine, in questi giorni, l’esplosione del caso venezuelano potrebbe riportare una tensione non solo locale anche all’interno del continente americano, come non accadeva da molto tempo, in un momento dove gli equilibri politici latino-americani stanno cambiando radicalmente.

Sappiamo bene che dopo il 2014 la tensione con la Russia ha toccato numerosi ambiti, non solo politici e diplomatici, ma anche economici, commerciali, energetici. Le accuse di ingerenze e interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane e in quelle di numerosi paesi europei, sono solo alcuni dei tanti esempi che si possono fare a testimonianza di questa rinnovata tensione. La Russia, ritornata al ruolo di grande potenza mondiale, non intende rinunciare a esercitare la sua influenza e a perseguire i propri interessi strategici, rilanciando con forza anche la sua macchina militare.

Non è un caso dunque se negli ultimi anni abbiamo visto in tutto il mondo, parallelamente ad un aumento della conflittualità diffusa, il rilancio della corsa a strumenti d’arma sempre più avanzati, sia sul versante cibernetico e informatico, che su quello missilistico e convenzionale, che ha prodotto un rilevante aumento delle spese militari, soprattutto nei paesi più ambiziosi e in quelli più esposti dalle nuove crisi in atto.

La Cina, che rivaleggia ormai quasi alla pari con gli Usa in campo economico e tecnologico, ha lanciato un grande piano di investimenti nella difesa e soprattutto in sistemi d’arma molto evoluti, orientati a farle ridurre il margine di svantaggio con gli Usa in tutte le dimensioni, anche nello spazio o sul mare, mentre contemporaneamente allarga la sua azione internazionale e la sua proiezione politica globale, verso l’Asia e verso l’Africa, costruendo basi militari all’estero e lanciando grandi piani di investimento infrastrutturale come la “nuova Via della seta”. Ma l’aumento di rivalità e tensioni, soprattutto nel Pacifico, spinge anche altri paesi, che posseggono risorse e tecnologie avanzate, a investire per aumentare il proprio peso militare. Il Giappone è forse il caso più emblematico, nonostante i limiti imposti dalla sua costituzione, ha avviato un piano di forti investimenti per la difesa nazionale, che prevedono per esempio l’acquisto di strumenti d’arma molto evoluti, come gli F35 o il potenziamento della propria marina militare.

La Russia, per quanto sul piano economico non versi nella stesse condizioni della Cina e sconti i limiti di un’economia in difficoltà, rimane uno dei maggiori investitori in armi del mondo, la sua industria della difesa è una delle più potenti e sviluppate e rappresenta una delle voci più significative dell’economia nazionale. In alcuni settori specifici, spazio, missilistica, cyber, è all’avanguardia. Infatti, dopo il processo di modernizzazione delle forze armate russe successivo alla guerra in Georgia del 2008, è stato evidente che non potendo comunque rivaleggiare sul piano delle forze convenzionali con gli occidentali, ha dedicato grande attenzione agli investimenti in settori ad alta tecnologia, come il cyber, ma anche nella modernizzazione dei suoi sistemi missilistici. E questo non poteva non produrre effetti e conseguenze.

L’ambiguità russa, almeno ritenuta tale in Occidente, nel rispetto delle regole previste dai trattati firmati negli anni ottanta, è stata la causa che ha spinto gli USA, poco tempo fa, a sospendere la propria adesione all’Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), essendo la Russia accusata di non rispettare le regole sulle armi a corto e medio raggio, soprattutto per quanto riguarda i famosi missili SS-8. Del resto però è chiaro che gli Usa non possono perdere terreno nella competizione anche in campo missilistico, avendo evidente che i loro diretti rivali globali, Russia e Cina, invece vi investono molte risorse.

Ecco che nel momento in cui si torna a pensare in termini di confronto simmetrico tra potenze e di guerra convenzionale, si torna anche a guardare all’arma missilistica come strumento di minaccia sempre pronta ed efficace. Per questo la Russia, per superare il gap che sconta sul piano convenzionale rispetto alle forze armate atlantiche, sfrutta le sue tecnologie missilistiche all’avanguardia e soprattutto il deterrente atomico.

L’annuncio americano di sospensione dal trattato sulle armi nucleari e medio e corto raggio, siglato da Reagan e Gorbachev nel 1987, sembra però essere solo un ultimo passaggio, di un percorso iniziato già da tempo, che porta nel pieno di una nuova epoca della rivalità strategica tra potenze, di cui possono tornare a essere elementi centrali una nuova deterrenza nucleare e la corsa ad armamenti sempre più potenti. Probabilmente la scelta della sospensione, in se, potrebbe essere meno grave di quanto alcuni sostengano. Gli USA non voglio restare gli unici limitati dai trattati. Ma è altrettanto probabile che in realtà, al di là del tentativo di lanciare un chiaro segnale a Mosca, nella testa degli statunitensi vi sia invece il confronto con la Cina, che del trattato Inf non è firmataria e che sul piano missilistico, a corto e medio raggio, ha investito molto, nel tempo, per conquistarsi una posizione di tutto riguardo nell’area del Pacifico. Forse potrebbe presto aprirsi una discussione internazionale su nuovi trattati, a cui cercare di obbligare anche la Cina, nell’interesse americano, ma forse anche russo. Ma non è detto che la Cina vi aderisca o che possano raggiungersi risultati certi.

Il tema è capire se, invece della nascita di nuovi trattati e accordi internazionali per il controllo o la limitazione degli arsenali nucleari, come noi ci auguriamo, potrebbe prodursi un incremento della tensione e un crescendo della rivalità, che potrebbero certamente compromettere ancora di più la già precaria sicurezza internazionale. In questo senso, per esempio, è interessante capire che destino avranno gli accordi New Start, che hanno impatto tutt’altro che marginale proprio sul controllo e la riduzione degli arsenali.

Indubbiamente però, i tratti di questa “nuova Guerra Fredda” alle porte, sembrano ben diversi e, forse, anche più complessi di quella vinta dall’Occidente a fine anni ottanta.

Molti elementi oggi sono diversi, altri complicano il quadro, rendendolo mutevole e pericoloso. Certamente la Guerra fredda novecentesca era fondata sul confronto tra due grandi sistemi ideologici e politici contrapposti, e su una grande battaglia mondiale per l’influenza. Alla NATO, sul piano militare, si contrapponeva il Patto di Varsavia. L’Europa era separata dal muro di Berlino. Il mondo era diviso in modo molto più netto di quanto non sia oggi.

Resta invece da capire, ai nostri giorni, come il confronto strategico si evolverà, essendo non più tra due blocchi ideologicamente ed economicamente omogenei, ma tra almeno tre grandi potenze mondiali, Usa, Cina e Russia, che pur differenti sul piano politico ed istituzionale, sono tutte pienamente inserite nel sistema economico e finanziario della globalizzazione. Inoltre ai tre protagonisti globali si aggiungono vari altri soggetti di caratura regionale che possono voler dire la propria a seconda dei propri interessi in questo nuovo complesso gioco per l’egemonia globale: paesi come Turchia, Iran, Arabia Saudita, Israele, India, Pakistan, Giappone, Indonesia, Corea del Nord e del Sud, solo per citarne alcuni.

Di sicuro, in un crescendo di tensione mondiale e di fronte a una corsa al riarmo, molti paesi tra quelli citati potrebbero decidere di dotarsi di armi atomiche, per difendersi dal rivale regionale più prossimo, ma anche per aumentare il proprio peso al tavolo del confronto globale. Alcuni probabilmente sono lontani dalle tecnologie e dalle risorse necessarie per diventare una potenza atomica, ma altri potrebbero farlo probabilmente in pochissimo tempo.

Rispetto al passato dunque vige maggiore disomogeneità, frammentazione, e incertezza: il quadro globale appare caratterizzato soprattutto da grande disordine e, di certo, la tensione nei prossimi anni non scenderà, ma sarà probabilmente proporzionale anche al crescere di sentimenti sovranisti, nazionalisti e protezionistici che un po’ ovunque sembrano attecchire con vigore. Le prossime elezioni europee, dopo le presidenziali americane e Brexit, daranno solo una probabile conferma di questo trend.

In questo contesto, tra budgets per la difesa che aumentano, tensioni politiche ed economiche crescenti e possibile nuova corsa alla “bomba”, la vera incognita diventa l’Europa, sempre più fragile e in crisi di identità. Per ora il legame atlantico regge e, al contrario di quanto ventilato negli ultimi tempi, potrebbe uscire rafforzato da un crescendo di tensione con Russia e Cina. Del resto il voto trasversale di qualche settimana fa del Congresso Usa sul Nato Support Act dimostra bene quale è la forza del legame atlantico e quanto è comune a entrambi gli schieramenti politici americani, quasi a voler scacciare ogni ombra. Ma l’Europa non può soltanto restare attaccata al traino americano: forse è venuto il tempo di una maggiore intraprendenza, nel rispetto di un’alleanza antica e fondante, senza la quale l’Unione Europea probabilmente non sarebbe nemmeno nata.

È evidente che oggi l’Ue sconta fragilità, divisioni, incertezze, che in un clima globale di tensione e competizione possono metterla in enorme difficoltà. Le opinioni pubbliche dei paesi europei sono ancora molto preoccupate e condizionate dalla crisi economica e dal tema dell’immigrazione, mentre in realtà vi sono altre minacce globali incombenti, che meriterebbero maggiore attenzione e, da parte politica, una diversa capacità di reazione. In particolare per quanto attiene alla sicurezza dell’Unione, nel momento in cui la sicurezza potrebbe diventare la priorità numero uno nel resto del mondo.

Brexit, anche su questo versante, influirà notevolmente, privando l’Unione di una delle sue due potenze nucleari; ma obbliga i paesi europei, Italia compresa, a ridefinire un ruolo all’Unione verso il mondo partendo dal fatto che la sua posizione geografica e strategica porta ad essere molto prossimi alle aree di tensione più elevata, ma forse non più centrale come un tempo.

Forse non sarà più il possibile campo di battaglia europeo il cuore pulsante del nuovo confronto strategico globale. Oggi l’obiettivo si è spostato verso il Pacifico dove si concentrano gli interessi attuali americani e molte delle potenze emergenti, e dove insiste soprattutto la Cina, ma non per questo significa che l’Europa, anche per il suo peso economico e politico, non possa e non debba ancora giocare un suo ruolo globale. Anzi, è proprio il contrario.

Nessuno può immaginare un’Europa slegata dai suoi alleati atlantici tradizionali, per questo il rilancio politico e strategico anche della Nato è fondamentale. L’Alleanza atlantica non è superata dagli eventi, anzi, sembra proprio che siano gli eventi attuali a confermare la sua importanza. Ma è chiaro che se l’Unione non deciderà di dotarsi di una propria autonomia effettiva sul piano difensivo, aumentando competenze, budget, progetti di investimento, rischierà di restare al palo. Questo non significa solo rafforzare cooperazione e collaborazione con Nato e Paesi alleati, cercando magari di fare una politica di alleanze soprattutto verso Africa e Medio Oriente che non si limiti ai soli enunciati, ma produca anche risultati, ma dovrebbe impegnare anche a sviluppare quelle capacità di tipo tecnologico, logistico e militare che al momento mancano all’Unione. Se non lo faremo come Unione, investendo di più, economicamente, nella nostra sicurezza, e recuperando, attraverso il tema della sicurezza globale e della difesa europea, il senso di un progetto di integrazione politica e di unità, alcuni paesi saranno costretti ad agire da soli, diventando però ancora più dipendenti dalle scelte altrui e determinando la fine dell’Unione stessa. Perché nessun paese europeo, Germania o Francia comprese, ha la forza e il fisico per competere con i giganti globali, soprattutto con i due giganti le nostro tempo, Cina e Stati Uniti.

È necessario dire che in questo momento, chi sembra davvero avvantaggiato e pronto a giocare con maggiore libertà il “nuovo gioco del trono globale”, sembrano essere la Cina e la Russia. Anche gli Stati Uniti, che alternano atteggiamenti da potenza globale muscolare ai richiami dell’isolazionismo, sembrano alle prese con non pochi problemi politici interni e con qualche incertezza nella linea da seguire in politica estera. Il sistema di potere americano appare diviso, e le prossime elezioni presidenziali, dove Trump vorrà presentarsi forte di qualche risultato raggiunto nel suo Make America Great again, si annunciano già oggi molto combattute.

Forse il ritiro americano annunciato dall’Afghanistan e quello iniziato in Siria, sembrano essere state scelte condizionate anche dai prossimi appuntamenti politici interni, come lo fu quello dall’Iraq alcuni anni fa. Ma proprio nel momento in cui la tensione mondiale cresce e le nebbie di un nuovo inverno delle relazioni internazionali stanno calando, ritirarsi dall’Afghanistan e dalla Siria non sembrano scelte strategicamente così opportune. Ma gli Usa restano pur sempre gli Usa, sotto tutti i punti di vista, e anche gli altri, quelli che oggi danno immagine di se come vincenti e sembrano più spregiudicati nel muoversi “all’ombra del trono”, sono ancora molto lontani, nel confronto con la potenza americana.

Di certo il confronto sul campo tra le potenze non sarà comunque più, solamente, di tipo simmetrico e riguarderà moltissimo, soprattutto le nuove tecnologie. Cyberwar e information warfare spostano il confronto e i potenziali conflitti verso una dimensione sempre più ibrida, dove possono agire anche altri partecipanti non ufficiali o non-statuali, ma anche gruppi terroristici, cartelli criminali, corporazioni economiche. La guerra ibrida sarà la cifra, probabilmente, del nostro tempo di disordine e competizione globale. Ma proprio per questo, e consapevoli del fatto che una nuova proliferazione nucleare potrebbe mettere a disposizione di tanti malintenzionati armi e strumenti molto pericolosi, non vanno sottovalutati e dimenticati i gruppi e le organizzazioni terroristiche, oggi in gran parte nascoste, che potrebbero volersi ritagliare un proprio spazio in questa nuova fase. Non tanto perché immaginiamo loro un ruolo da protagonisti, quanto perché le loro azioni potrebbero essere invece usate o sfruttate da altri, per indebolire o colpire un nemico.

L’inverno che sta arrivando era stato probabilmente già annunciato da tempo. Le avvisaglie si erano viste da alcuni anni. Non sappiamo però quanto durerà o nemmeno quanto sarà rigido.

La storia non si ripete mai identica, ma a volte, alcune tendenze e alcuni fatti, si possono assomigliare. Tornare a vivere, come durante la Guerra Fredda, in un tempo di paura per la presenza di migliaia di missili atomici puntati o per l’aumento di coloro che potrebbero disporne, non sarà certamente la migliore aspirazione per i prossimi anni, ma potrebbe purtroppo accadere.

Certamente assisteremo a una rivalità crescente tra gli Stati, che potrebbe portare a nuove crisi e a nuovi contrasti e anche a una nuova rincorsa all’atomo. Potremmo presto svegliarci in una “seconda era nucleare”, senza nemmeno esserci accorti che era già cominciata.

Occorre essere consapevoli che se vogliamo evitare questo scenario tenebroso, una qualche forma di “nuovo ordine”, a questo disordinato e complicato mondo, andrà trovato. E noi europei dovremo decidere se in questa partita globale vorremo provare a ritagliarci un ruolo da protagonisti, senza litigare tra di noi, ma ritrovando le ragioni e il senso dello stare insieme. Per farlo, visti gli altri giocatori in campo, oltre alla testa e alle buone intenzioni, servirà però anche un po’ più di fisico.

Enrico Casini, Direttore dell’Associazione culturale Europa Atlantica

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