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Più circoli e nuove alleanze. I consigli di Pasquino a Zingaretti

Meglio andare a vedere le carte dei grillini oppure quelle della Lega? È il quesito che il prof. Gianfranco Pasquino, politologo di fama internazionale e professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, porrà nel prossimo futuro al neo segretario del Pd.

Perché, all’indomani delle primarie, a Nicola Zingaretti non basterà tornare all’antico di circoli e federazioni, ma “farsi moderno mostrandosi aperto a rilievi e critiche”. E condurre il partito a saldarsi con il sindacato e con il popolo della piazza milanese, che ha manifestato contro il razzismo. E su Calenda, Sala e Letta dice che…

Il Pd con Nicola Zingaretti segretario torna all’antico di circoli e federazioni, dopo la parentesi renziana?

Sarebbe antico se tornasse a circoli e federazioni come sono stati trattati da Renzi, se invece li lasciasse autonomi, facendoli lavorare ed esprimere allora no. Se li frequenterà e al tempo stesso si mostrerà aperto a rilievi e critiche allora compierà un grande passo, che prende il nome di modernità.

Zingaretti ha chiuso ad un accordo col M5S: ma per essere alternativa al governo gialloverde basterà solo dialogare a sinistra?

Difficile rispondere ora, perché non ci troviamo in una fase dove si presentano prospettive del genere. Ma non c’è dubbio che, quando si giungerà alla composizione del prossimo Parlamento, il Pd dovrà porsi il problema dei numeri e quando vedrà che i numeri non saranno sufficienti dovrà decidere: negoziare con la Lega o con il M5s? Stando così le cose il sistema è, come minimo, tripolare, per cui con qualcuno bisognerà confrontarsi. A quel punto chiederò a Zingaretti e agli altri se meglio andare a vedere le carte dei grillini oppure quelle della Lega che le squaderna quotidianamente.

Un milione e seicentomila votanti, che sono molto meno di quelli del 2007, 2009, 2013 e 2017, crede siano un segno di vera testimonianza oppure solo un residuo di apparato?

Intanto direi che sono un buon segno per il Pd, lo dimostra il fatto che inizialmente l’asticella era stata posizionata attorno al milione. Significa che esiste ancora una spinta alla partecipazione, nonostante la delusione e la rassegnazione di molti dem al cattivissimo andamento del partito. Se, come io penso, il Pd dovrà essere fulcro di un’alleanza più ampia, allora bisognerebbe aggiungere a quei numeri i cittadini che sono scesi in piazza a Milano contro il razzismo, e anche quelli a sostegno dei sindacati lo scorso 9 febbraio. Non sono tutti ovviamente del Pd, li definirei culturalmente di sinistra, se cultura significa rapportarsi ad altre persone anche se straniere, ma tutti sono in opposizione al governo. Questo lo peso come un segnale di vivacità.

Ha citato i sindacati: come farà Zingaretti a sanare la ferita del jobs act?

La posizione renziana era di disintermediazione, se quella di Zingaretti sarà di aggregazione allora i sindacati saranno della partita. Se il Pd è divenuto il partito delle zone a traffico limitato e intende ritrovare i lavoratori, allora dovrà spostarsi in periferia. Nessuna sinistra sarà mai forte se non avrà un rapporto vero e non organico con il sindacato: nel senso di confronto e di contrasto, ma finalizzato a stare nella stessa barca e adoperarsi affinché si muova.

In questo senso l’elezione di Maurizio Landini al vertice della Cgil può essere elemento di trade union?

Direi di sì. Nonostante le sue asprezze e le sue impuntature, Landini è un utile soggetto nella sinistra.

I renziani adesso restano senza una prospettiva?

Sono andati molto male e particolarmente il renzianissimo Giachetti. Non credo sia interessante sapere dove andranno ora, ma in teoria Zingaretti dovrebbe fare il possibile per tenere tutti uniti ed evitare che escano, incentivandoli a partecipare attivamente e non a ostacolare in modo sgradevole il funzionamento del partito.

Come farà il Pd a dialogare con quegli elettori, anche di centro, che il 4 marzo 2018 hanno scelto il M5S ma che ad esempio in Abruzzo e Sardegna hanno fatto marcia indietro?

Bisognerà fare un’offerta a quel 30% di elettorato che nel 2018 ha votato M5S e che, presumibilmente, nel 2023 potrebbe cambiare idea. Gli elettori grillini insoddisfatti si trovano alle prese con dei rappresentanti che non sanno che pesci prendere e, quando li pescano, non sanno come cucinarlo. Inoltre il Pd dovrà sperare che il sistema italiano si ristrutturi in maniera bipolare, perché a quel punto tutti coloro che non vogliono la destra si coaguleranno in un unico interlocutore.

Quale il ruolo dell’operazione civica di Calenda?

Se Calenda sceglierà di farsi una sua lista per le europee, gli farò i miei auguri. Così come la leggo io, quella è un’operazione molto confusa, perché in realtà non rafforza il centrosinistra e neanche gli europeisti. Credo occorra altro, come ad esempio dei capilista che siano uomini e donne della politica che possano vantare competenze europee, non giornalisti, scrittori o attrici.

Le faccio due nomi, Beppe Sala ed Enrico Letta: come potranno intrecciarsi con il lavoro di Zingaretti? Consigli, sussurri o con ruoli di primo piano?

Secondo me Sala dovrebbe continuare a fare il sindaco di Milano, anche perché il consenso del capoluogo lombardo è di primaria importanza. Una volta terminato il suo mandato, poi, deciderà come proseguire. Mi auguro che Zingaretti stabilisca un buon rapporto di collaborazione con lui. Su Letta non scelgo la strada del politichese, che mi porterebbe a dire che è una riserva dello Stato e una risorsa. Per cui mi limito a osservare che si tratta di una persona di grande competenza, che parla splendidamente sia inglese che francese, dotato di una cultura europea. Se qualcuno sta cercando un capolista per una circoscrizione, allora è il nome giusto. Aggiungo che ha un suo prestigio personale a livello europeo, il nome giusto se Zingaretti vorrà cercare profili all’altezza.

twitter@FDepalo

 

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