Il porto “dimenticato” di Trieste potrebbe diventare il centro di un mondo in riallineamento. A parlarne è il New York Times, che con un articolo scritto da Jason Horowitz si occupa dell’accordo sulla Via della Seta che vede l’Italia al centro di un dibattito globale per le conseguenze che questo passo potrebbe avere sulla posizione italiana a livello globale. Mentre si aspetta la visita di Xi Jinping a Roma, dal quotidiano americano si ripercorrono le mosse cinesi per aprire una breccia in Europa, puntando appunto sul porto di Trieste.
“Questa settimana – si legge -, il presidente cinese Xi Jinping arriva a Roma per una visita di stato in cui si prevede che l’Italia diventi il primo gruppo di 7 nazioni a partecipare al vasto progetto cinese di infrastrutture One Belt, One Road”. Ad essere “impressionante”, scrive Horowitz, è il simbolismo dietro questo accordo, ossia “una Cina potente” che “guida una crepa nell’alleanza economica che un tempo dominava il globo e dà un colpo importante a un’amministrazione Trump che è stata critica nei confronti dell’iniziativa Belt and Road”.
Ad essere messo in evidenza, il ruolo del porto di Trieste: “Per la Cina – sottolinea il responsabile della redazione romana del Nyt -, avere un punto d’appoggio in uno dei porti storici d’Europa porterebbe condizioni doganali favorevoli, una via commerciale più veloce nel cuore del continente e l’accesso diretto alle ferrovie per il trasporto delle merci nell’Unione europea”. Quello che sta succedendo viene raccontato attraverso le parole del presidente dell’autorità portuale triestina, Zeno D’Agostino: “Il porto di Trieste sta tornando al ruolo logistico per l’Europa che aveva per l’antico impero austro-ungarico”. Il problema, però, sottolineano in tanti, è che l’Italia si pone davanti a un interlocutore troppo più grande di lei (qui le parole di Lia Quartapelle sul tema), di cui non si possono prevedere le conseguenze.
Mentre altri Paesi europei, come Francia e Germania, hanno espresso notevoli riserve sull’accordo con la Cina, in Italia si dice che non c’è niente da temere, perché le leggi italiane non permetteranno la svendita del porto agli investitori cinesi, spiega Horowitz. I rischi, però, sono stati sottolineati da più parti, una su tutte quella del portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale Usa, Garrett Marquis, che ha messo l’accento sugli investimenti su 5G e telecomunicazioni.
L’articolo del quotidiano newyorkese sottolinea, inoltre, che quest’anno il porto di Trieste celebra il suo 300esimo anniversario della dichiarazione dello status di “porto franco”. Espediente per sottolineare che il porto di Trieste gode di particolari privilegi, dall’assenza di oneri doganali all’assenza di limiti temporali per lo stoccaggio delle merci. “Se l’affare andrà a buon fine – spiega Horowitz -, i sostenitori dicono che immaginano aziende cinesi che lavorano con controparti italiane, assumendo lavoratori locali per assemblare merci importate prima di metterle sui treni per il resto d’Europa o sulle navi di ritorno in Cina. Se la quantità di lavoro e i componenti utilizzati sono all’altezza delle esigenze doganali, questi prodotti potrebbero essere etichettati come Made in Italy”.
A chiarire la natura delle preoccupazioni attorno all’accordo Italia-Cina, una metafora di Giulio Camber, politico triestino ormai fuori dalla politica attiva: “È come il campione del mondo di scacchi che gioca con un paio di ragazzi che giocano per divertimento al Caffè Degli Specchi”, ha detto, riferendosi al famoso caffè nella piazza principale di Trieste, Piazza Unità d’Italia. “Non si può immaginare cosa stia facendo il miglior giocatore di scacchi del mondo”.
(Foto archivio: porto di Trieste, 2013)